I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi   bimbo commenti
La drammaticità attuale del problema dell’aborto può portare a pensare che questa poesia riguardi quel problema e voglia indurre a pensare al bambino abortito in termini espliciti. Diciamo subito che lo riguarda veramente, ma in un modo molto particolare. 

Facciamo un passo indietro ai tempi in cui GKC la scrisse (cioè prima del 1900), allora nemmeno si poneva il problema della legalizzazione dell’aborto; era invece proposta, soprattutto da parte di movimenti filantropici e femministi, una politica di riduzione delle nascite. Potrebbe allora sembrare che il bambino non-nato sia il bambino non concepito, ma nemmeno questo è alla base della poesia; in realtà, il senso è molto più profondo e lo possiamo verificare leggendo dall’Autobiografia del Nostro cosa ne diceva lui stesso. Troviamo che ne parla in due punti diversi. 

La prima citazione è fatta nel capitolo IV nel quale narra la sua uscita dalla depressione. E spiega il concetto che intendeva comunicare con questa poesia riferendo come immaginava che fosse una “creatura non creata [che] chiedesse a gran voce l’esistenza”.
Il soggetto quindi non è né un bambino abortito, né un bambino non concepito ma un ente (non definibile), che soffre nell’attesa di essere chiamato all’esistenza dal creatore. 
L’ultimo verso mantiene quindi tutto il suo significato nella forma grammaticale del verbo al passivo; passarlo dalla forma passiva dell’inglese alla intransitiva dell’italiano causa purtroppo una perdita di significato. D’altronde mantenere la forma passiva anche in italiano lo farebbe diventare troppo lungo e quindi sgradevole per il ritmo della poesia (questa difficoltà mi è stata ribadita da Annalisa Teggi in una comunicazione personale).

Nella seconda citazione, posta a 5 pagine dalla fine (capitolo XVI), parlando degli uomini che rifiutano il concetto di creazione, conclude che essi sono come il bambino non creato poiché non possono vedere nemmeno il dente di leone che non hanno inventato e nemmeno hanno inventato gli occhi o la vista. Questa cecità ci apre al tema della riconoscenza. Allora, sembra dire GKC, si impiega la vista per vedere un fiore dei più comuni come il dente di leone (tarassaco o come si dice in dialetto veronese pisacane) e non si deve esercitare uno sforzo particolare, basta aprire gli occhi per vederne in quantità (appunto se ne trovano ad ogni pisciatina di cane). Come non essere grati a qualcuno per il fatto di disporre di un organo come gli occhi e di una facoltà come il vedere e di qualcosa da vedere come il tarassaco? Ecco, chi non sente questa gratitudine come necessaria, è cieco come un bambino non nato, chi rifiuta la creazione non si sente creato. Questo rifiuto è legato al tema della gnoseologia, cioè al tema della conoscenza umana: chi non accetta il principio realista per il quale l'oggetto conosciuto ha precedenza sul soggetto conoscente - ma al contrario si rifugia in un soggettivismo più o meno radicale, alla fin dei conti solipsistico - si preclude la possibilità di sentirsi una creatura, chiude gli occhi di fronte alla meraviglia e alla gratuità con cui il tarassaco o qualsiasi altra cosa ci interpellano. Potremmo dire pertanto che la conoscenza oggettiva è la condizione di possibilità, il presupposto, per la riconoscenza.
Alla fine possiamo riprendere la catena cominciando dall’ente indefinito che anela a ricevere l’essere dal creatore, continuando con il bambino non concepito che desidera di essere voluto dai procreatori per finire al concepito che soffre per l’aborto.

Contributi:

Alessandro Cortese ha puntualizzato che da un punto di vista rigoroso
“Un bambino non nato, nel senso di non concepito, non è propriamente un ente, e nemmeno indefinito, ma una pura potenzialità d'esistenza, presente soltanto in Dio. 

L'idea che sta alla base del testo di Chesterton, ossia far parlare in prima persona un bambino non ancora concepito, è sicuramente felice dal punto di vista poetico e può essere espresso nel campo dell'immaginazione, ma difficilmente replicabile nel campo della filosofia. 

Da un punto di vista rigoroso, il soggetto parlante sarebbe dovuto essere proprio Dio creatore, che solo può pensare al destino reale di persone che sono ancora inesistenti in se stesse, ma presenti dall'eternità nella Sua mente.. 

Ma allora la poesia sarebbe stata diversa e anche molto meno bella e commovente.”


Ringrazio Alberto Zago per avermi suggerito alcuni miglioramenti stilistici e di contenuto grazie ai quali ho potuto rendere il testo del commento più preciso e leggibile.


Alessandro Giuliani ci scrive: 
"Tra i vari echi che suscita il tema ne aggiungo uno che mi pare particolarmente sfizioso, una strofa del De Sathana cum Virgine di Bonvesin de la Riva, in cui Maria replica alla protesta del diavolo secondo cui 


Eo no sarev demonio
s'el no m'havess creao:

Se De foss stao a far
k’el no t’avess creao,
ponemm ke tu havissi
forza d’aver parlao,
de lu segon iustisia
porriss ess lamentao,
k’el t’havreg fag torto
s’el no t’havess creao."

Roberto Prisco aggiunge:
nell'Autobiografia GKC riporta che il nonno puritano  diceva: "che avrebbe ringraziato Dio per averlo creato anche se fosse stato un'anima perduta."
Forse la differenza tra Satana ed il credente stà in ultima analisi tutta qui?

Rodolfo Caroselli:
Gilbert Keith Chesterton è stato, a ragione, definito “il profeta del nostro tempo”. Nei suoi anni non fu chiamato a combattere l’aborto, nostra tragedia contemporanea, e tuttavia si batté contro le politiche di controllo delle nascite che, di questa tragedia, furono la premessa. Credo che questa magnifica poesia, da cui emerge uno straordinario amore per la vita, dimostri in tutta evidenza la sua profeticità.

 

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