CONTROVERSIA 3
Roberto Prisco
apre la controversia
Partiamo dalla affermazione di Chesterton (Ortodossia
cap 3):
“Il mondo moderno è pieno di antiche virtù cristiane che
sembrano come folli: sono divenute folli perché sono scisse una dall’altra e
vagano senza meta.”
A me sembra che una applicazione di questa sua osservazione
al mondo attuale ci possa aiutare a capire il buonismo. Questo però fa
sorgere diversi problemi che pongo alla vostra discussione:
1) cosa si intenda per buonismo
2) come distinguerlo dall’esercizio della Carità
3) quale sia la virtù che dovrebbe limitarlo.
4) altri problemi a cui non ho pensato.
Fatemi avere le vostre osservazioni in e-mail con testi
concisi appropriati e senza divagazioni. Se avete tante cose da dire ditene una
sola alla volta, per le altre potrete fare ulteriori successivi messaggi. I
vostri contributi saranno pubblicati su questa pagina del mio sito personale.
Il 23 settembre 2023 Maurizio Pozzani ha
scritto
BUONISMO. Definizione dal vocabolario Treccani: s. m. [der. di buono]. –
Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso qualcuno
(migranti, prigionieri, profughi, delinquenti), o nei riguardi di un avversario,
spec. da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di
larga diffusione nel linguaggio giornalistico (1956), per lo più con riferimento
a determinati personaggi della vita politica.
Ma anche: eccesso di buoni sentimenti,
suggestivo ma inconcludente. Ingiustificata benevolenza e tolleranza, con
riserva mentale, verso interlocutori e avversari. Buoni sentimenti, perciò, solo
apparenti. Il termine è un “alibi” per negare la possibilità che si possa
intendere “buono”. Il buonista, secondo tutto ciò, sarebbe un falso buono.
Sinonimi: ipocrisia, falsità.
Contrari: cattivismo, cinismo.
Da quanto descritto sopra è evidente che
non si può in alcun modo accostare alla carità che presuppone, invece, amore e
disponibilità sincere verso chi manifesti necessità materiali o spirituali.
La limitazione del buonismo sta nel non
esserlo, e si ritrova nell’autentica compassione verso chi esprima sofferenza,
pur senza proclamarla apertamente. Chiunque accusi dolore ha bisogno d’aiuto.
Sarà la nostra comprensione che, secondo le nostre possibilità, ci dovrebbe far
agire e dimostrare la nostra concreta bontà d’animo, secondo quel principio di
carità che, nel nostro ideale, dovrebbe essere assoluto.
Il primo ottobre 2023
RP risponde
Mi sembra che Pozzani intenda che se l’atto
è buono integralmente allora è generato dalla virtù, altrimenti non lo è.
Quindi, traggo la conclusione, che la virtù è sempre buona e non può devastare.
Forse non ho capito bene. Secondo ciò che ho capito di questa impostazione
quindi la frase di GKC non è accettabile.
Cerco di esprimere un paio
di considerazioni che possano essere di giovamento per chiarire il mio pensiero
piuttosto che quello di GKC.
Negli atti umani si possono distinguere due
aspetti fondamentali: l’intenzione e l’oggettività del fatto. Tutte le volte che
entrambi sono buoni il fatto è buono, se invece l’intenzione è buona, può
capitare che il fatto oggettivo non sia tale. Da questa contrapposizione può
sorgere la devastazione indotta dalla virtù.
In questa visione ci si può
chiedere se la Carità (vista dalla parte dell’intenzione) deve e come essere
limitata. Il buonismo sarebbe generato dal mancato controllo e provocherebbe le
devastazioni.
Lo scopo principale della mia proposta era di discutere se
si è d’accordo con Chesterton a proposito di questa affermazione o al contrario
se si è in disaccordo.
Scrive
MP:
probabilmente ci siamo capiti male, nonostante io mi picchi di essere una
persona che sa esprimere concisamente e con chiarezza le proprie proposizioni.
La frase di GCK, nonostante l’arbitraria estrapolazione e l’inserimento in un
questionario con precise richieste non neutrali è, per me, condivisibile. Come
sempre, bisogna distinguere il peccato dal peccatore. Oggettività e
intenzionalità. Kant accosterebbe la controversia alla ragion pura e alla ragion
pratica.
Anche il malintenzionato (per qualsivoglia scopo personale) può agire un atto
caritatevole che, oggettivamente, potrà risultare buono. Non per la sua anima,
che dovrà rispondere a un principio superiore proprio per l’intenzionalità
inespressa. L’atto, in questo caso, sarà probabilmente buono per chi lo riceve,
mentre sarà espressione di grave condanna per chi lo agisce. Da questo banale
esempio ne discende qualunque possibilità, persino quella cosiddetta
“devastante” se, chi agisce, lo faccia con intenzione buona ma l’oggettivazione
della stessa crei una situazione negativa.
Nel buonista l’intenzione è celata e lo scopo suo reale è di apparire tollerante
e pacifico pur non essendolo nel suo intimo.
Lo scopo principale della tua proposta primitiva, secondo l’intenzionalità, non era perciò quello di arrivare a una chiarificazione filosofica dei concetti di buonismo, carità e virtù, ma un referendum sull’affermazione di Chesterton. Spero non esistano ulteriori dubbi
.
L’otto ottobre, approfittando della giornata festiva
RP sottilizza
Considero verità non una virtù ma un
criterio di azione, che si contrappone all’altro criterio utilità. Esercitare
quindi la carità secondo verità potrebbe significare di agire secondo le virtù
cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) che guidano la
realizzazione concreta del criterio della verità. Forse il punto potrebbe essere
questo allora, considerare la carità come lo stimolo per una azione che si
esplica nell’ampio spazio di queste altre quattro virtù.
Dopo l'ultimo intervento di Roberto Prisco, penso che si
debba precisare meglio cosa si intenda per virtù.
I più grandi studiosi dell'Aquinate hanno affermato:
"Nell'ampia concezione delle virtù che Tommaso prende da Aristotele, trova il
suo fondamento la dottrina secondo la quale gli stati e disposizioni dell'anima,
ordinati alla conoscenza della verità, hanno valore di virtù, e propriamente di
virtù dianoetiche (virtutes intellectuales)".
Eventualmente posso portare i testi di riferimento
Torniamo a Chesterton. Egli lamenta che le virtù lasciate
sole producono guai.
Continuando l’esempio della carità mi trovo a ritenere
che la carità esercitata senza l’appoggio delle virtù cardinali (prudenza,
fortezza, temperanza e giustizia) possa portare a degli eccessi, soprattutto
perché vedo che talvolta l’esercizio della carità viene realizzato mediante il
dono di cose che non appartengono al donatore. Faccio l’esempio delle promozioni
donate a studenti decisamente impreparati. Il professore, sia pure mosso dalle
migliori intenzioni, non dona qualcosa di
suo ma qualcosa che appartiene alla scuola di cui fa parte, ed alla quale fa
decidere che il beneficiato abbia certe conoscenze che in realtà non ha. Viene
violata quindi la virtù della prudenza ed anche quella della giustizia.
Questo straripare della carità può essere definito buonismo.
.
Il diciotto ottobre aggiunge le sue considerazioni Gilberto Girimondo
I tempi sono cambiati. Giusta la definizione di BUONISMO
della Treccani. Ma è una definizione vecchia (per conto mio), superata ormai dai
tempi moderni.
Il buonismo è il male della nostra società il male in
assoluto. In tutti i campi. Una volta c'erano delle regole, delle leggi, delle
usanze, che venivano rispettate. La nostra società era regolata dal rispetto di
queste leggi. Chi sbagliava pagava. Chi si muoveva. lo faceva nel rispetto delle
regole che erano state fissate. ORA NON PIU'.
Con l'introduzione del
buonismo, ogni regola è saltata, ogni divieto non è più un divieto. Tutti
possono fare quello che vogliono. NON ci sono più regole, NON ci sono più
divieti. La società è diventata una società aperta, una società liquida, una
società amorfa. Si potrebbero fare un sacco di esempi. Mi limito a due. Nella
scuola, nell'insegnamento, non si può più bocciare i somari, non si può più fare
la selezione dando i voti belli ai più meritevoli ed i voti più bassi agli
scansafatiche. Poverini, devono essere promossi tutti. Ci penserà poi la vita a
fare la selezione. Altro esempio, la giustizia. I giudici interpretano le leggi
sempre a favore dell'imputato. Se uno trova un ladro in casa sua e lo
aggredisce, va sotto processo. Ma si potrebbe parlare dei migranti, delle case
date in affitto, di quando assumi una persona e non puoi più licenziarla.
E
Forse il buonismo dipende anche dall'agiatezza della vita moderna. Coloro i
quali non sono abituati a sudare, fare fatica, superare problemi e dolori,
vedranno nelle persone che affrontano tutto questo dei soggetti perennemente
sfortunati ai quali tutto è dovuto, perché smaschererebbero l'ingiustizia della
vita, che offre tante opportunità a qualcuno e non dà nulla a qualcun altro.
Voi immaginate, non dico un rematore, ma un antico sopracomito (comandante) di
una galera veneziana. Pensate ai mesi che si faceva in mare, mangiando
minestrine rancide, prendendosi tutta l'acqua quando pioveva, dovendo combattere
quando necessario, alle prese con malattie e ogni tipo di difficoltà tipiche
della navigazione del tempo. Pensate che faceva questo stile di vita almeno per
20 anni. Pensate inoltre che, data l'alta mortalità infantile, ogni padre e
madre di quel tempo facilmente vedevano morire almeno un figlio piccolo. Pensate
che... e mi fermo qui.
Ora immaginate di parlare a questo Venier, Contarini, Bembo o qualsiasi altro
aristocratico sopracomito (che, ripeto, occupavano l'alta gerarchia della
società) dei turbamenti psicologici di emigrati fermi da una settimana su una
nave ONG dotata di tutti i comfort al largo delle coste siciliane in attesa del
permesso del ministro dell'interno di turno per attraccare... Si
lascerebbe impietosire? Non si metterebbe a ridere? Non attecchirebbe alcun
buonismo lì. Perché? Perché consciamente o meno quel sopracomito farebbe questo
ragionamento: se quei "mali" li sopporto anche io, anzi io sopporto ben di
peggio, che non osino lamentarsi neppure loro! Viceversa, i radical chic
che vivono in ZTL consciamente o meno fanno un altro ragionamento: io ho già
tutto, la vita mi sorride, tutto sommato mi ha sempre sorriso, cosa mi costa
concedere qualcosa ai più sfortunati [tanto poi le conseguenze negative di
eventuali concessioni ingiuste non ricadranno su di lui]. Anzi - prosegue il
rimuginio del nostro radical chic - così darò anche soddisfazione alla mia
coscienza: io ho tutto, però sono una persona buona perché voglio che anche gli
altri ne abbiano.
Il buonismo è un costrutto della cattiva coscienza umana: significa costruire
una campana di vetro attorno ad un "poverino" che smorzi artificialmente la
pressione della vita circostante. Il risultato è che il "poverino" si abituerà a
vivere in un mondo inesistente, fittizio, e quando uscirà dall'ovile scambierà
le normali difficoltà della vita per un mare di soprusi e discriminazioni,
perché lui ha "ben diritto a".
Come diceva qualcuno: tempi duri producono uomini di valore, uomini di valore
producono tempi sereni, tempi sereni producono uomini molli, uomini molli
producono tempi duri.
La bontà è da uomini di valore, il buonismo da uomini molli.
I tempi che ci aspettano sono un'ovvia conseguenza.
Cerco di mettere un po’ d’ordine nei miei pensieri.
Il cristiano, che cerca di avere una vita virtuosa,
trova nelle tre virtù teologali l’indirizzo per la propria vita; GKC (quando
scrisse “Ortodossia” era un fedele anglicano) ci avverte comunque che possono
esserci dei rischi e delle controindicazioni.
Può essere utile, per mettere
in relazione le virtù che ci riferiamo a ciò che disse Borges, che sia pure
parlando d’altro, definì le teologali come virtù intellettuali e le cardinali
come virtù morali. Questa definizione non contrasta con la dottrina cattolica,
secondo la quale l’intelletto è lo strumento con cui si può avere una conoscenza
sia pure limitata, incerta e frammentaria di Dio.
Con l’elaborazione dell’intelletto il nostro cristiano,
arriva a decidere che cosa fare, ma solo confrontandosi con le altre quattro
virtù decide la misura ed il come.
Qui sorge un grosso problema in quanto ci si chiede, se
il cristiano dovrebbe limitare ed indirizzare l’esercizio di ciò che viene da
Dio (virtù teologale) con le virtù cardinali, che sono di elaborazione forse
religiosa ma comunque pagana. Teniamo presente però, che la dottrina
tradizionale afferma che la ragione naturale è comunque la base della
rivelazione e della vita del cristiano, quindi possiamo dare alle quattro virtù
cardinali la funzione di far definire i tempi ed i modi di esercizio delle altre
tre.
Vediamo ora i rischi che derivano dal dimenticare o
trascurare queste limitazioni. Le tre virtù esercitate senza limite rischiano di
sfociare nel fideismo la fede, nella spensieratezza la speranza, e nel buonismo
la carità. La verifica poi nei fatti della vita degli insuccessi di queste
estremizzazioni, qualora le si ritenga corretto esercizio, può portare agli
opposti delle virtù: scetticismo, pessimismo ed egoismo.
Questi quindi potrebbero essere le folli conseguenze che
derivano dalle virtù incontrollate.
A questo punto bisogna però fare un’autocritica e
confrontare l’incisività dell’espressione paradossale di GKC con le pedanti
considerazioni qui scritte. Ad ognuno il suo mestiere a GKC l’incisività del
paradosso ed a chi non sa scrivere la pedanteria della scrittura argomentata ed
accurata.