i Giovedì - Gruppi Chestertoniani Veronesi


Dialogo con Giuseppe Colombo
   

         

        

Medaglia d'oro al miglior giallo

12° La pipa, la regina

La pipa è la regina e dovrebbe essere chiaro a tutti che così è, perché è la mia preferita. Non mastico tabacco, non fumo sigarette, il sigaro sì, ma raramente: solo in matrimoni speciali e nei raduni dei Chester veronesi. Però fumo la pipa.

Per me la pipa è regina non nel senso che io sia suo servo: non sono assuefatto al suo fumo e posso tranquillamente farne a meno anche per più di un mese; e quando la fumo, la fumo con parsimonia: due, massimo tre volte al giorno. E la fumo da più di cinquanta anni con moderazione e sono il re della regina: in questo caso sono maschilista; è lei che serve me, non io lei! Per me è regina ancella molto elegante e piacevole: con lei trascorro un tempo di quiete e di meditazione, e anche di preghiera al Padre che sta nei cieli, là dove sale il suo fumo.

Di pipe ne possiedo un buon numero: italiane, inglesi, irlandesi, danesi, russe, francesi… e, quasi un omaggio al mio grande avo, Cristoforo Colombo che scoprì il Nuovo Mondo, ho pure una pipa Tigua del Ysleta del Sur Pueblo (riserva situata nei pressi di El Paso in Texas): una “pipa sacra”. Tutte le altre sono di radica di erica arborea, questa invece è tutta in legno di faggio ed è dipinta, ornata da piume, da sottili strisce di cuoio e da un piccolo campanello d’argento. Nel suo insieme simboleggia la madre terra, mentre il cielo, al quale sale il fumo, allude al dio ignoto dai mille nomi: fumarla è dunque un atto rituale di unione dell’umano e del divino.

Perciò il fumare la pipa è un po’ come il pregare, come avevo scritto di Alce Nero, Sioux Oglala, nella sesta puntata. ma può essere anche fonte di evasione, illusoria, dalle nostre magagne. Baudelaire ne è un esempio:

Gli cinge e culla l'anima la rete
Mobile e cilestrina che si leva
Dalla mia bocca in fiamme
E incantano il suo spirito le spire
D'un dittamo potente, e d'ogni affanno
Fanno lieve il suo cuore.

Il fumo e la pipa sono dunque come il dittamo: toglierebbero dal cuore il pungiglione del dolore. Forse Baudelaire ha letto il seguente passo di Aristotele. Ecco:

Si dice che a Creta le capre selvatiche, quando vengono colpite da una freccia, cerchino il dittamo. Sembra, infatti, che questa pianta abbia la capacità di espellere le frecce che si sono loro conficcate nel corpo (Storia degli animali, IX, 6).

Magistrale uso della pipa in bocca a due personaggi di Herman Melville nel suo Moby Dick (1851).
Siamo sulla nave baleniera Pequod.

Primo. Ciò che forse, tra l’altro, faceva di Stubb [un ufficiale] un uomo così strafottente e senza paure, che se la trottava con tanta allegria col peso della vita addosso, in un mondo pieno di merciai tetri, tutti piegati a terra dai loro fagotti; ciò che lo aiutava a portarsi attorno quel suo buonumore quasi empio, doveva essere la sua pipa. Perché, come il suo naso, la sua corta pipetta nera era una delle fattezze ordinarie della sua faccia. Era quasi più probabile vederlo saltar fuori dalla cuccetta senza naso, piuttosto che senza pipa.
Lì dentro aveva tutta una fila di pipe cariche infilate in un portapipe a stretta portata di mano, e ogni volta che andava a letto le fumava tutte di seguito, accendendole l’una dall’altra fino al termine della raccolta, e poi ricaricandole perché fossero di nuovo pronte. Perché per prima cosa, quando Stubb si vestiva, invece di cacciare le gambe nelle brache, si cacciava la pipa in bocca.
Io credo che questo eterno fumare dev’essere stata almeno una delle cause della sua indole speciale. Ognuno sa infatti che a questo mondo l’aria, in terra o in mare, è terribilmente infetta dalle miserie indicibili del numero sterminato di uomini che sono morti cacciandola dai polmoni; e come in tempo di colera qualcuno va in giro con un fazzoletto canforato sulla bocca, allo stesso modo il fumo del tabacco di Stubb può avere operato come una specie di disinfettante contro tutti i triboli umani (XXVII).

La pipa in bocca, accesa o spenta, un distintivo degli anziani quando ero piccolo e ragazzetto. Avevano fatto la prima guerra mondiale e da allora avevano la pipa, tanto quanto avevano il naso. A quei tempi un uomo veniva indicato con il mestiere che svolgeva: il prestinaio, il fabbro, il trattorista e anche “il pipa”, quasi fosse la sua l’occupazione di fumare la pipa.

Secondo. Quando Stubb se ne andò, Achab [il capitano] rimase per un poco curvo sulla murata; poi, come soleva fare di recente, chiamò uno della guardia e lo mandò giù a prendergli lo sgabello d’avorio, e anche la pipa. L’accese alla lanterna della chiesuola, piazzò lo sgabello a sopravvento e si sedette a fumare.
Al tempo degli antichi norvegesi i troni dei re di Danimarca appassionati di mare erano fatti, dice la tradizione, con la zanna del narvalo. Come si poteva guardare Achab, allora, seduto su quel treppiedi d’ossa, senza pensare alla regalità di cui quel sedile era simbolo? Un Khan del tavolato, un re del mare e un gran signore di balene: questo era Achab.
Passò qualche minuto. Il fumo denso gli usciva di bocca in sbuffi continui e fitti, che il vento gli risoffiava in faccia. Alla fine si levò la canna di bocca e cominciò a parlare da solo:
<<Ma come, il fumo non mi rasserena più. Deve andarmi proprio male, cara pipa, se il tuo incanto è sparito! Sono stato qui a stancarmi senza rendermene conto, invece di provare piacere. Proprio così, e per tutto il tempo ho fumato controvento come un idiota; controvento e tirando coi nervi, come una balena in agonia, ché le mie ultime sfiatate sono le più forti e le più tormentose. Ma perché uso questa pipa? È una cosa fatta per chi è sereno, per mandare il suo fumo bianco e gentile in mezzo a dei quieti capelli bianchi, e non tra ciuffi spelacchiati, grigi come il ferro, come questi miei. Non voglio più fumare...>>
Buttò in acqua la pipa ancora accesa. La brace fischiò tra le onde. E nello stesso momento la nave, con un balzo, si lasciò dietro la bolla che la pipa fece affondando.
Achab si tirò il cappello sul naso e cominciò a misurare il ponte come un ladro. (XXX)

Povero Achab: la gamba che non ha più gliela ha maciullata Moby Dick, la Balena bianca alla quale anche ora dà la caccia, che per lui è come il diavolo che distrugge la sua vita, e lo deve assolutamente vincere da solo, senza aiuti divini; a meno che quella Balena non sia per lui addirittura il dio malvagio che ci crea e ci distrugge: un dio più satanico di Satana.

Il commissario Maigret

Tra gli investigatori Jules Amédée François o Anthelme Maigret fuma la pipa, solo e soltanto la pipa, proprio come il suo autore, Georges Simenon, entrambi francesi. La fuma a casa, a passeggio, in ufficio, durante le sue inchieste, in modo opportuno ed educato e inopportuno e maleducato. Malato, durante una inchiesta, la fuma anche a letto, borbottanto con la moglie, la signora Maigret, imponendole di lasciarlo fare: e con la sua pipa, risolto il caso, si addormenta: sul cuscino la sua pipa accanto alla sua testa(il Cadavere Scomparso).

Di origine contadina, alto e massiccio, veste semplicemente ma in modo distinto. Di carattere è burbero e a volte scontroso, ma sa essere anche gentile e accondiscendente, il suo cuore è però sempre un cuore buono. Parla, tanto; medita, tanto; mangia e beve, tanto… e fuma. L’intera sua vita è punteggiata da pipa, cibo (magari un semplice panino), vinello bianco, birra, calvados e cognac.
Possiede una collezione di pipe, le fuma tutte, ma spesso ne ha con sé una sola: la carica, l’accende, la svuota, la riempie di nuovo, la fuma e così via… Per me questa abitudine è inammissibile: la pipa va fumata, pulita e lasciata riposare. Se ne deve accendere un’altra. Inoltre spesso la svuota battendo il fornello contro il tacco della scarpa: magari in taxi. Per me è un atto blasfemo: la pipa va capovolta e, se ben fumata, la cenere esce tutta; nel caso rimangano dei residui nel fornello, si usa delicatamente il curapipe e poi… batterla… mai. Semmai un leggero colpo con il palmo della mano...
Accanito fumatore, dunque, quasi usa la pipa come se fosse un pacchetto di sigarette. Un po’ simile al tenente Colombo dall’eterno sigaro in bocca; un po’ simile al capitano Achab nella furia di certe pipate.
Ma anche tanto, proprio tanto… pacifico. Sì, al fondo il suo animo è tranquillo, anche nei momenti più duri del suo lavoro. Maigret non dà la caccia a nessuna Balena bianca; Maigret vuole la verità, che è il presupposto sul quale si fonda ogni carità.
Qui termina la mia indagine; che dico.. il mio aprire qualche finestra sul mondo del fumo e il suo rapporto con gli investigatori. Se qualcuno, magari solleticato da quanto ho scritto, volesse approfondire il mondo del tabacco, della sigaretta, del sigaro e della pipa, non ha che l’imbarazzo della scelta: di libri ponderosi ne esistono molti.
Ci resta da scoprire come questi due fumatori, Colombo e Maigret, e padre Brown ci conducano dal giallo alla vita reale, là dove è probabile che si scoprano drammi umani e non solo gialli costruiti per non pensare e per passare il tempo.
Alla prossima:
13° Colpa, peccato, redenzione. Il tenente Colombo, il commissario Maigret e padre Brown