i Giovedì - Gruppi Chestertoniani Veronesi


Dialogo con Giuseppe Colombo
   

         

        

Medaglia d'oro al miglior giallo

 14° La fine non sta tutta nel principio

Un bel dilemma: è preferibile la carta o il film…

Gli originali, romanzi e novelle, sono preferibili ai loro derivati teatrali o filmici, oppure è l’opposto… I gusti sono gusti e la critica è la critica: variabili come il tempo. In questo campo perciò non vale il principio di non contraddizione: opinioni diverse hanno quasi tutte la loro ragion d’essere. A esempio, tra L’assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie e il Commissario Maigret di Georges Simenon in carta io preferisco di gran lunga le loro ricreazioni, rispettivamente nel film del 1974 e nella serie interpretata magistralmente da Gino Cervi. Il perché lo svelo a chi mi scrive.

Tuttavia questo dilemma non si pone per il Tenente Colombo, perché è stato concepito, è nato ed è cresciuto come serie televisiva: impossibile immaginare il tenente e l’ambiente in cui si muove da come li vedi e ascolti: Peter Falk è il tenente Colombo, e non viceversa...

Il giallo capovolto

Con un colpo di genialità indiscutibile gli ideatori della serie, Richard Levinson e William Link, hanno letteralmente capovolto il giallo tradizionale:

là solo alla fine viene smascherato il colpevole e messi in luce i motivi del suo gesto criminale;

qui ambientazione, colpevole, atto criminale e motivi sono noti già nella scena iniziale del telefilm.

Tutto chiaro dunque… Non proprio, perché nella fine vi è sempre qualcosa di più sostanziale rispetto al principio.

Entra il tenente Colombo e, nonostante sia noto l’antefatto, gli spettatori hanno occhi e orecchie solo per quanto avviene sulla scena. Questo perché la soluzione del dramma non è mai frutto di conoscenza speculativa, ma pratica.

Non è possibile dedurre dall’accaduto, quel particolare delitto, una catena logica di concetti e da essa trarre la conclusione (il fatto non è riducibile a una equazione matematica).


La conclusione si dà solo quando tutto è compiuto, ovvero quando le persone del dramma, l’assassino e il tenente, hanno giocato tutte le loro carte.

La struttura sostanziale del dramma è infatti costituita dalle azioni dei personaggi. E le azioni pongono dei fatti che si impongono come ineludibili. E da essi, nuovamente e ripetutamente, fino alla fine, i personaggi devono prendere nuove decisioni, compiere nuove azioni, perché nessuno possiede la propria vita in modo assoluto e quindi nessuno può disporne e progettarla integralmente una volta per tutte nel qui e ora del presente. Quindi, ripetutamente, a ogni svolta delle indagini, la deve riprogettare da una nuova prospettiva: il tenente incalza, l’accusato si difende, il cerchio si stringe, c’è forse ancora una via di fuga per il colpevole: in palio c’è la buona riuscita dell’indagine e la sconfitta senza rimedio del colpevole, come accade in parecchi telefilm, o il possibile recupero della sua dignità umana.

Per questi motivi il telefilm avvince gli spettatori, persino quando lo hanno già visto, magari più volte.

I precedenti

C’è almeno un precedente, noto e notevole, di questa struttura: il Romeo e Giulietta di William Shakespeare. Nel Prologo il Coro svela la trama: un antico odio di due famiglie e l’amore e la morte dei due sposi. Ma il coro non dice due cose essenziali, che si scoprono durante lo svolgimento e alla fine del dramma: la prima, che non l’odio delle famiglie, ma Romeo e Giulietta e il loro padre confessore, frate Lorenzo, sono i veri colpevoli di tradimento della bella storia d’amore; la seconda, che Dio è il solo a rimanere fedele alla promessa di bene: le due famiglie, che potevano trarre dalla tragedia nuovo alimento per il loro odio, invece miracolosamente fanno pace.
 
Gli ideatori del Tenente Colombo fanno poi il nome di Porfìrij Petròviè, un giudice istruttore dal quale avrebbero tratto ispirazione per creare il personaggio del tenente.

Ma qui vi rinvio alla prossima puntata.

15° Un vento dall’Est