I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi                  Calvino
 

 

 

Calvino e Gilbert

 di Roberto Prisco

Nella prefazione di Perché leggere i Classici (1959) Italo Calvino elenca una serie di scrittori che ama leggere, tra questi compare anche Gilbert Keith Chesterton. E’ una citazione che rende lieti noi chestertoniani in quanto troviamo che questo grande scrittore italiano del XX secolo condivideva la nostra passione per GKC; è però doveroso che ci chiediamo su cosa fosse basata questa ammirazione. Esaminiamo per primo il dato di partenza; Calvino cita 24 autori classici della letteratura di lingua italiana, francese, tedesca e russa e tra questi, dei quali in qualche modo dichiara di voler seguire l’ispirazione, l’unico nome ad essere citato due volte è proprio quello di GKC. La frase precisa è “Amo Chesterton perché voleva essere il Voltaire cattolico e io volevo essere il Chesterton comunista.”  Se da un lato fa certamente piacere sapere che Calvino dichiarasse di avere GKC come modello, dall’altro non è male cercare di comprendere meglio come possano stare assieme in questa strana proporzione Voltaire Chesterton Calvino ed il comunismo. Solo comprendendo il primo dei due rapporti possiamo cominciare a capire cosa possa aver inteso Calvino e se sia possibile per qualcuno essere un Chesterton comunista.

Chesterton volle essere il Voltaire cattolico” Se tralasciamo di considerare le scelte filosofiche e di fede che fanno contrapporre insanabilmente i due saggisti e teniamo al contrario presenti la forza polemica e la appassionata apologia fatta dai due polemisti delle rispettive posizioni, possiamo dire che i punti di somiglianza ci sono. Se poi passiamo anche a considerare lo stravolgimento delle ordinarie coordinate spazio-temporali fatto dall’uno nel Candide e dall’altro per esempio nell’Uomovivo e nell’Uomo che fu Giovedì, possiamo accettare che una analogia ci fu. Soprattutto i due sono accomunati dalla espressione di una razionalità metodologica, che sfocia e si manifesta anche nella forma del paradosso. Quindi i tre principali caratteri formali e non di contenuto dell’opera di GKC e cioè il suo essere polemista, paradossale e razionale sono comuni ai due.

Dato che è di Calvino che ci interessiamo qui, più accurato sarà l’esame del rapporto tra Chesterton ed il comunismo. A proposito di questa relazione i quesiti sono almeno due: E’ possibile un Chesterton comunista ed eventualmente Calvino lo fu?

Al primo quesito viene subito da chiedersi se un comunista possa essere uno scrittore paradossale, dato che polemista può essere chiunque. Il comunismo come si presentava ai tempi di Calvino era una dottrina compiuta ed invincibile della realtà tanto che le deviazioni dottrinali venivano bollate come idealiste.

Certo, dopo il 1989, l’ortodossia marxista non è più apparentemente un problema culturale o politico, ma le strade imboccate dai marxisti ed in genere dal ribellismo della sinistra dopo quell’anno ci sono utili per valutare il senso dell’adesione data dagli intellettuali dei tempi di Calvino al marxismo ed al partito comunista. Gli ex comunisti non hanno cessato di fare politica, sono diventati ecologisti, animalisti libertari ecc. hanno cioè mostrato come la loro tensione fosse verso l’utopia e non verso la realtà. Era la Città Ideale e Perfetta ciò che quegli intellettuali chiedevano al movimento comunista di realizzare. Che la pretesa di quel movimento di essere l’unico difensore dei diritti dei lavoratori fosse strumentale è smentita facilmente. Si pensi ad esempio al reclamo presentato dalla CGIL al Comitato Europeo dei Diritti Sociali (n. 91/2013) e  volto ad ottenere in una ottica libertaria ed abortista di diminuire la libertà di certi dipendenti dalla Pubblica Amministrazione (1).

Per la loro struttura logica interna i movimenti utopisti limitano la libertà dei singoli nel nome di un ideale o di una serie di ideali che i leader ritengono i migliori per costruire la società perfetta degli uomini. Non è possibile immaginare GKC nell’atto di piegare la sua tensione verso la grandezza del singolo uomo per porsi al servizio di una utopia sociale, egli infatti anche quando trattava di argomenti sociali (si veda ad esempio Il Ritorno di don Chisciotte),lo faceva sempre partendo dall’uomo ed avendo come destinazione e criterio l’uomo: quello singolo e impastato di bene e di male, che ogni giorno vive, soffre e gode.

Questo per quanto riguarda i valori più profondi, che poi influenzano anche gli aspetti letterari che potrebbero sembrare più distanti. Prendiamo in esame quella raccolta di racconti di  Calvino di grande successo, che potrebbe sembrare la più chestertoniana per lo stile e le situazioni affrontate. Mi riferisco ai racconti che hanno come personaggio principale Marcovaldo. Un personaggio che potrebbe sembrare una replica urbanizzata a Milano o a Torino invece che a Londra della coppia formata da Turnbull e Mac Jan de La sfera e la croce. Al contrario evidenzieremo una inquietante divergenza di valori.

I due personaggi di GKC, uno ateo e l'altro credente, cercano per tutta l'Inghilterra un luogo dove poter finalmente  sfogare con un duello mortale la loro  insanabile contrapposizione, venendo frustrati continuamente. Il romanzo termina con una apocalisse nella quale gli avversari trovano la riconciliazione dopo aver lottato duramente nel nome della Verità contro tutti i tentativi condotti da una presenza diabolica che cerca di annullare il loro contrasto. GKC evidenzia quindi come la lotta per la verità anche quando assume la connotazione della sfida mortale è pur tuttavia una forma di condivisione e che è sempre positivo combattere duramente con le avversità anche fino alla sconfitta. 

Ben diverso è il personaggio di Marcovaldo alle prese con piccoli problemi sui quali cerca di affermarsi con rivalse e piccoli dispetti, rimanendo poi schiacciato da un ambiente naturale e umano che gli è ostile e privo di riscatto. Giova a questo proposito ricordare come nel 1971 Calvino abbia affermato:”Il mio ideale pedagogico, quando pubblicai come libro per l’infanzia questa serie di storielle (che avevo cominciato a scrivere nel 1952 per la terza pagina dell’Unità di Torino) era quell’educazione al pessimismo che è il vero senso che si può ricavare dai grandi umoristi.”(2)

Come possiamo tenere assieme questa definizione di umorismo con quello di ben altra natura di GKC?(3) Ora se il comunismo accettava e promuoveva Marcovaldo come umorismo, non si può proprio pensare ad un Chesterton comunista.

Non sappiamo se Calvino cercò realmente di essere, come diceva, il Chesterton comunista. Possiamo però concludere che non ci riuscì a causa della sua visione pessimista della realtà che contrastava con quella ottimista di GKC.

Il rapporto di verità Chesterton-cristianesimo risulta ben diverso inoltre dal rapporto di verità che Calvino aveva istituito con il comunismo. GKC era convinto che il cattolicesimo fosse sempre e comunque la soluzione migliore dei problemi degli uomini per ogni tempo luogo e condizione. Calvino al contrario già dai primi tempi del dopo guerra viveva rispetto al comunismo una doppia verità, da una parte in occasione dei viaggi compiuti oltre cortina  vedeva di quelle società gli aspetti negativi (che nelle relazioni giornalistiche taceva), dall’altra dichiarava che il comunismo era la soluzione dei problemi italiani (4). Non era poi nemmeno molto originale attribuendo allo stalinismo l’oppressione dei popoli di oltre cortina. Quanto si è saputo dopo la caduta del muro di Berlino, e comunque il muro stesso costruito 7 anni dopo la morte di Stalin, ci ha fatto sapere quanto quella attribuzione fosse illusoria. Il problema del comunismo non è comunque il più grave, dato che questo movimento si pone all’interno dell’utopismo del quale non è se non una particolare declinazione, ed in effetti il dato negativo è l’irrealismo delle visioni utopiche.

Nell’opera di Calvino infatti troviamo, anche se talvolta in modo ambiguo, frequenti rimandi alla Città Ideale. In questo modo si deve interpretare la serie delle cento Città Invisibili; ciascuna diversa dalle altre ma tutte costruite su un’idea che ne costituisce l’identità ed in definitiva l’unità. Quindi cento città ideali; ma se sono cento, viene da dire, allora non esiste una città ideale che sia di esempio e di modello per tutte. Calvino sembrerebbe qui accennare ironicamente alla fatuità della ricerca della Città Ideale, dato che ne sono disponibili altre novantanove.

Diversamente,  in La  Giornata di Uno Scrutatore, scritto tra il 1953 ed il 1963 , (5) sembra credere nella possibilità di una città ideale. Vediamo come nella conclusione proponga una osservazione di tipo utopistico. Il personaggio principale (nel quale si dice si adombri lo stesso Calvino) dopo essere stato in contatto con le sofferenze degli assistiti e con l’abnegazione delle suore che li accudiscono ed istruiscono, sembra un po’ dubitare della sua fede, ma vedendo alla fine che anche in quella città della sofferenza i servizi funzionano, le persone riconoscono il loro ruolo e lo rispettano conclude che nella città della sofferenza (Il Cottolengo di Torino) c’è anche la Città (il maiuscolo è di Calvino), cioè un barlume o forse un seme dell’Utopia.

Un altro ambito di confronto tra GKC e Calvino può essere il rapporto con la scienza. Da un lato GKC si è interessato più agli impieghi troppo entusiasti della scienza che non dei singoli risultati stessi, d’altro canto, Calvino per esempio nelle Cosmicomiche ha mostrato una simpatica vena umoristica nello stravolgere il significato delle teorie scientifiche più affermate. Diciamo però che questo sottile scherzo, costruito sull’affetto per la scienza e sull’amore del paradosso, non vuole mettere in crisi la scienza, ma renderla più simpaticamente vicina al lettore. Al contrario GKC in Ortodossia scrive alcune pagine nelle quali riflette sugli aspetti negativi di per se della scienza, e poi nel racconto di padre Brown L’Errore della Macchina ricorda la superiore libertà dell’uomo rispetto alle teorie sull’uomo. Ma il massimo della critica si dimostra negli attacchi fatti in molte sue opere (ad es Uomo Eterno) al darwinismo ed alle sue semplicistiche applicazioni alla descrizione della umanità preistorica. Se teniamo conto delle recenti modifiche che i paleontologi hanno apportato lungo questi 100 anni che ci separano dalla scrittura dell’opera di GKC non possiamo che essere d’accordo con il nostro sulla debolezza di quella teoria. Comunque erano entrambi corretti interpreti del pensiero della Chiesa da una parte e dello scientismo base del comunismo dall’altra 

Riguardo la Scienza, in conclusione, entrambi si trovano in accordo con il pensiero ufficiale delle rispettive Agenzie di riferimento (la Chiesa ed il PCI) prudente la prima e scientista entusiasta il secondo.

Il confronto tra GKC e Calvino ci porta a verificare la consonanza riguardo l’amore per il paradosso, ma la dissonanza riguarda lo scopo del paradosso, cioè l’umorismo. Chesterton si compiace di mostrare come anche nella miseria morale più nera (v. Flambeau) l’uomo abbia una possibilità di riscatto, per Calvino al contrario (v. Marcovaldo) il destino dell’uomo è la sconfitta. Chesterton fu fedele verso la Chiesa, Calvino verso il comunismo fu ambiguo.  


(1)  La CGIL aveva infatti presentato un reclamo al Comitato Europeo dei Diritti Sociali presso il Consiglio d’Europa (complaint n.91/2013) nel quale sostiene vengano violate alcune disposizioni della Carta Sociale Europea, in ragione dell’elevato numero di medici obiettori di coscienza che si avvalgono in Italia del diritto loro riconosciuto dall’art.9 della Legge 194/78 da http://www.lanuovabq.it/it/articoli-obiezione-di-coscienza-giuristi-contro-la-cgil-6724.htm

(2) Italo Calvino Romanzi e racconti vol. primo – Mondadori 2003 pag. 1367

(3) Vedi L’Umorismo Cristiano di Gilbert Keith Chesterton

(4) Italo Calvino Romanzi e racconti vol. primo – Mondadori 2003 pagine LXXI e LXXIII

(5) Italo Calvino Romanzi e racconti vol. secondo – Mondadori 2005 pagine 3-78

 

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