I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi in dettaglio |
IL
CLUB DEI MESTIERI STRAVAGANTI
di G.K. Chesterton Note di Cesare
Surano A) Aspetti
Generali Per converso,
sempre paradossalmente ma non troppo, si può definire “Il club dei
mestieri stravaganti” un “divertissement giovanile”, ammesso che sia
definibile “giovanile” ciò che l’autore ha partorito a 31 anni. Tra i due scritti
corrono solo 22 anni, ma in mezzo ci sono l’intera evoluzione di vita e
di pensiero di Chesterton, quasi tutte le sue opere più importanti e
significative, le grandi polemiche giornalistiche e letterarie coi
personaggi del tempo, una devastante guerra mondiale, la morte del
fratello Cecil, il graduale processo di crescita nella fede con la
definitiva conversione al cattolicesimo. Nella palese,
logica diversità che passa tra i due libri, quali sono allora gli
elementi comuni che li affratellano, che li rendono molto vicini e per
taluni aspetti assai simili, a conferma della continuità dello scrittore
e dell’uomo Chesterton nelle diverse fasi della sua vita?
Dove è la coerenza fra un’opera giovanile e una della maturità? Gli elementi
formali e di scrittura comuni sono abbastanza facili da individuarsi.
Malgrado “Il ritorno di Don Chisciotte” sia presentato come un
romanzo, nella sostanza romanzo quasi non è.
Le diverse parti, spesso i diversi capitoli, fanno storia a sé e
hanno pochissima continuità. Potrebbero
tranquillamente essere considerati dei racconti separati, uniti solo da
personaggi comuni. “Il
club dei mestieri stravaganti” è invece un insieme di racconti che con
pochi artifici scritturali, attraverso i tre protagonisti, possono
diventare un “unicum”.
Quindi nessuna differenza formale, malgrado le apparenze
editoriali. Anche la scrittura
è molto simile: nel “Club” un po’ più enfatica e barocca, nel
“Ritorno” tendente al grottesco e al caricaturale, ma senza grandi
difformità. Inoltre, la
descrizione dei personaggi, ben definita per quelli maschili principali e
superficiale per quelli secondari e femminili, segue sostanzialmente lo
stesso stile chestertoniano. Le
contraddizioni e le incoerenze sono sempre quelle tipiche di Chesterton e
ricorrono in quasi tutti i suoi scritti meno impegnati, preparati a
tamburo battente, seguendo i ritmi giornalistici.
E, naturalmente, non mancano nei due libri i celebri paradossi e le
pungenti provocazioni.
Ciò che invece è
molto importante sottolineare, è il “fil rouge” evidente tra le due
opere dato dall’approccio leggero, scherzoso dell’autore che strizza
l’occhio al lettore chiedendogli di partecipare al gioco, pur senza
prendere il tutto troppo sul serio.
Ecco dunque il vero dato comune che permette di definire
“divertissement” entrambi gli scritti, pur essendo molto diversi gli
scopi e le intenzioni di Chesterton e diversissimi gli obiettivi
sostanziali dei due libri. Entrando così nel
merito e dimenticando il Don Chisciotte, si può tranquillamente affermare
che il “Club” è, a un tempo, una voluta provocazione e una prova
generale. La provocazione
contro Sir Arthur Conan Doyle, il suo Sherlock Holmes, il metodo deduttivo
e l’indagine scientifico – protocollare dei misteri polizieschi, è
dichiarata senza mezzi termini, quasi enfaticamente, da Chesterton stesso.
Egli contrappone a questo approccio, in modo palese,
l’intuizione, la fantasia e la creatività, pur sempre basandosi sui
fatti oggettivi e reali di ciascuna storia.
GKC sottolinea la
differenza di metodo attraverso la voluta “pazzia” del protagonista
dei racconti, l’ex giudice Basil Grant.
La “pazzia” è quindi intesa come l’unica possibilità di
sfuggire a leggi insensate e a protocolli illogici che finiscono per
impedire una corretta valutazione della realtà.
La “pazzia” come libertà di pensiero e, al contempo, strumento
di equilibrio e di giustizia. E’
il rifiuto puro e semplice del deduttivismo positivista, imperante nelle
ideologie dell’epoca (e che permane ancor oggi nell’aberrante
“politicamente corretto”!), rifiuto che ritroveremo ben più
articolato e con maggior spessore in altre opere successive e “mature”
del nostro autore. Prova generale è
invece il voler creare un nuovo tipo di “detective story”.
In effetti, nel 1905, siamo ancora agli albori di questo filone che
troverà grande sviluppo nei paesi di lingua inglese solo dopo la prima
guerra mondiale (in Italia assai dopo, forse con Scerbanenco), pur
mantenendo in parte il connotato di letteratura “minore”.
Non si sa perché, o meglio, lo si sa benissimo: agli intellettuali
paludati, i racconti e i romanzi agili, scorrevoli, di facile lettura
piacciono poco, anche quando gli autori scrivono benissimo, dimostrano
estro e creatività, propongono personaggi di spessore, tematiche non
banali e ambienti di buon realismo, specchio fantastico di diverse società.
Ciò non significa una difesa d’ufficio di tanta editoria
spazzatura, ma un intendere equilibrato di quanto una valida letteratura
popolare, il “buon giallo” per esempio, può rappresentare per lo
sviluppo della cultura. E
taciamo, per carità di patria, su quanto si trova oggi in libreria. Nel “Club”,
Chesterton fa le prove generali degli splendidi racconti “polizieschi”
di Padre Brown, abbozzando situazioni, personaggi, trame, ritmi, metodi e
conclusioni che ritroveremo più avanti, con diversa ampiezza e profondità,
nei libri incentrati sul prete – detective.
Qui il discorso è leggero, scherzoso, goliardico; si limita, con
ironia, a contestare l’approccio pseudo – scientifico di un
investigatore stile Sherlock, sottolineandone la boriosa superficialità
basata sulle apparenze, per affermare la validità dell’intuizione e la
necessaria conoscenza dell’animo umano come chiavi per svelare i
misteri. Nei racconti di
Padre Brown il discorso si affina, entra in una analisi articolata e si
dirige verso una soluzione morale. Il “Club”
diverte e innova, è una specie di avanguardia che esplora un terreno
sconosciuto e riferisce al suo autore che la strada è percorribile, con
qualche precauzione creativa e un po’ di aggiustamenti di tiro.
Ma ormai il cammino è segnato e l’obiettivo ben inquadrato. B) Personaggi Quattro perché ai
fratelli Grant e all’io narrante, deve essere aggiunto necessariamente
il “Club”, che si presenta come una entità a sé stante.
In effetti, è il soggetto principale e originale del libro, la
“creatura” dell’autore, l’idea nuova che viene proposta al lettore
cercando approvazione e compartecipazione.
Che possano esistere “mestieri altri”, è la geniale e
paradossale invenzione di Chesterton che dimostra come la tradizionale
apparenza dei ruoli possa essere rovesciata, come la fantasia possa
soverchiare la piatta realtà, come l’andare controcorrente (a testa in
giù!, vedi la biografia di San Francesco d’Assisi) sia alla fine il
modo corretto di vivere ed investigare il mondo.
Concetto che vedremo approfondito prima nell’Uomo che fu giovedì
e in Ortodossia, poi ne Le avventure di un uomo vivo, e in buona parte dei
Racconti di Padre Brown. In
pratica, è l’eterno gioco dello scambio di ruolo tra la realtà e la
fantasia (da Omero a Pirandello, tanto per dire), qui applicato alla
società borghese post – vittoriana, scherzandoci sopra.
Che i mestieri “altri” siano originalissimi, torna a merito
della creatività di Chesterton e che il “Club” come insieme realmente
esista, è la sorpresa finale dell’ultimo racconto. Il personaggio –
perno del libro è senza dubbio Basil Grant.
E’ il giudice “pazzo” che è rinsavito cantando una
canzonetta folle, abbandonando il seggio e la toga, ritrovando la propria
libertà di pensiero e di giudizio al di fuori degli schemi convenzionali
in cui era soffocato dalla sua società di appartenenza.
Finalmente può vedere dall’angolo dell’intuizione la realtà e
può così offrire le risposte “sensate” agli interrogativi che gli
altri personaggi gli pongono. E
sicuramente GKC si immedesima, divertendosi parecchio, in lui. Il fratello Rupert
Grant e il narratore sono solo personaggi di pretesto: il primo è una
caricatura di Sherlock Holmes, il secondo è un Dr. Watson in formato
ridotto. Non c’è da parte
di Chesterton alcun approfondimento del loro ruolo, né dei loro pensieri.
Sono le classiche “spalle” della commedia, cui si chiede di
recitare le battute che fanno emergere la figura e la logica del
protagonista, nella fattispecie Basil Grant che, alla fine, viene
giustamente “incoronato” Presidente. Lo scontato gioco
di parole può, anzi deve, essere attribuito a Chesterton. I personaggi minori
che animano il libro, infine, sono simpatici, caratteristici, originali e
nulla più.
E vediamo i
racconti, uno per uno. Racconto iniziale e
quindi anche introduttivo dei personaggi e dell’atmosfera comuni
all’intero libro. Queste
prime pagine sono felicissime e manifestano con chiarezza le intenzioni
dell’autore. Poi si
sviluppa il “giallo” di cui al titolo.
Ma la descrizione degli attori principali è incisiva ed ironica al
contempo, inquadrando nella grande Londra di inizio ‘900, capitale
imperiale e mondiale con tutte le sue contraddizioni, le vicende
successive. Ogni
spiegazione, ambiente, personaggio, metodo, finalità dello scritto sono
esposti senza remore e con un pizzico di mistero.
In qualche modo si sa già come le diverse storie andranno a
finire, pur nella loro specificità e con la sorpresa (parziale) del
capitolo finale. La
trama del racconto del Maggiore Brown è molto lineare, le avventure sono
poco avventurose e la “suspence” relativa, ma proprio per questo
scorre con naturalezza, forse peccando di qualche ingenuità, vedi il
matrimonio del Maggiore (happy end!).
Una corsa leggera in un piccolo intrigo domestico - poliziesco che
svanisce come una colorata bolla di sapone.
Ma stabilisce un approccio, quello chestertoniano, ben diverso dal
sussiegoso procedere di Sir Arthur Conan Doyle.
Unico aspetto fastidioso, secondo il mio parere, è l’enfasi
scritturale che, peraltro, si prolunga per tutto il libro e, alla fine,
rende il lettore quasi assuefatto allo stile. 2) La penosa caduta
di una grande reputazione Il secondo racconto
è invece di una ironia incisiva e graffiante: una feroce satira della
buona società del tempo che è ancor più valida per il mondo d’oggi,
molto “radical chic”, basato sull’apparire, l’inconsistenza,
l’immagine vacua e sul terrificante “politicamente corretto”.
Oggi, attraverso i sistemi di comunicazione sociale, i “mass
media”, ciò che Chesterton descrive nel racconto è prassi comune e
quasi non ci accorgiamo più del martellante condizionamento cui siamo
sottoposti a tutte le ore e in ogni ambiente.
Ai primi del novecento il fenomeno era ancora agli inizi, non
certamente universale e riguardava solo alcuni strati sociali in poche
nazioni. GKC svela con
la necessaria aura di mistero del “giallo”, l’artificiosità e la
falsità di personaggi sulla cresta dell’onda, la cui fama è costruita
attraverso una “recita”, un copione prestabilito che prevede
l’impiego di professionisti preparati allo scopo e che esercitano così
un mestiere “altro”, degno di entrare a pieno titolo nel Club dei
Mestieri Stravaganti. Nella
nostra società globale, tutta una “recita”, per salvarsi
dall’inganno, bisogna possedere ancora di più un marcato spirito
critico che deriva solo da saldi principi e valori, oltre che da una buona
cultura. Merce rara. 3) Il terribile
motivo della visita del Vicario E’ forse il
“giallo” più giallo e meno giallo.
Non è un gioco di parole: il racconto parte scherzoso (magnifico
l’accenno al bottone del colletto della camicia da sera), si sviluppa
come un poliziesco gotico e intrigante (ma si intuisce la sua artificiosità),
e alla fine si svela come un semplice, quasi banale sotterfugio.
Ma anche qui servono “mestieranti” professionali, degni del
Club, e non solo validi attori
disposti a recitare una parte. GKC
si diverte anche a prendere in giro la figura stereotipata del Vicario
anglicano di campagna, personaggio che doveva conoscere benissimo e che
forse ha in qualche modo favorito il suo cammino verso il cattolicesimo.
Che differenza rispetto alla figura originalissima di Padre Brown! 4) La singolare
speculazione del mediatore Certamente è il più
originale dei racconti. Il
mistero è poco, forse è più corretto definirlo un semplice
interrogativo, ma la soluzione svelata è senza dubbio un “unicum”.
Basil Grant fa giustizia dei dubbi del fratello Rupert sul tenente
Keith fin dall’inizio, e il lettore, ormai ammaestrato, è pronto a
dargli ragione. Tuttavia
l’idea di una casa aerea, sospesa agli olmi, quale dimostrazione della
logicità della follia, esalta la creatività dell’autore.
Anche la figura del mediatore di case, Montmorency, è particolare
e disegnata con cura, senza le approssimazioni che GKC riserva in genere
ai personaggi di contorno. Un
vero esemplare di membro del Club, forse il più “stravagante”.
Il racconto è godibilissimo, intriso di humor e fine ironia, e non
può non risultare molto divertente.
E spinge il lettore a pensare che forse una casa sugli alberi,
ovviamente dipinta di verde, sarebbe la soluzione ideale per ogni evasione
di corpo e di spirito, permettendo al contempo di evitare di pagare
qualsiasi tipo di IMU. 5) La strana
condotta del professor Chadd R 5 – Colpito e
affondato. R 5 è il
racconto N° 5 che di poliziesco non ha proprio nulla.
Ma “colpisce” per la sua feroce ironia e “affonda” le
regole della buona società e del ben pensare.
La satira sulla scienza e sugli scienziati, in particolare di targa
darwiniana, è centrata sulla figura del professor Chadd, vera caricatura
del ricercatore puro, totalmente assente verso il mondo che lo circonda,
sia esso comune e quotidiano che scientifico.
Chadd studia in dettaglio aspetti particolari dell’antropologia,
ma non capisce nulla né dell’uomo, né della società, come Basil Grant
gli rimprovera nella loro conversazione sugli Zulu.
Il riferimento a un certo mondo astratto e teorico della ricerca
fine a se stessa, alla torre d’avorio in cui si rinchiude
presuntuosamente l’Accademia, è del tutto palese ed è oggetto di
derisione quasi affettuosa da parte di GKC.
Ancora più pungente e mordace tuttavia è la presentazione
dell’Autorità istituzionale della scienza: il signor Bingham, del Museo
Britannico. Qui
Chesterton è veramente superbo e vale la pena di riportare integralmente
le poche righe relative: “Bingham era un signore magro, ben vestito, con
un pizzo grigio leggermente effeminato, con dei guanti impeccabili e dei
modi formali ma gradevoli. Egli
era il tipo del supercivilizzato, come il professor Chadd era il tipo del
pedante rozzo. La sua
precisione e le sue belle maniere gli avevano dato, a tempo debito,
qualche vantaggio. Aveva una
larga esperienza di libri e una larghissima conoscenza dei salotti più
alla moda”. Un
ritratto perfetto di tanti Rettori universitari, di
Presidenti/Amministratori di CNR, di Accademie, Musei (la Melandri!?!),
Centri culturali (vogliamo ricordare lo scandalo del premio Grinzane –
Cavour ?), nonché di pomposi Sovrintendenti archeologici e non.
Un quadro graffiante, con quattro pennellate di oltre cento anni
fa, della nostra attuale italica realtà scientifico-culturale.
La trama del racconto non conta, il pensiero dell’autore, di
contro, Sì, Sì, Sì. 6) L’eccentrica
reclusione della vecchia signora A mio giudizio, il
racconto meno riuscito. L’enfasi
dello scritto è ancora più marcata, le incongruenze più numerose, il
mistero “giallo” assai labile.
In particolare, le pagine dedicate alla lotta domestica fra i
protagonisti (i nostri – buoni e i cattivi) sono sovrabbondanti e
sembrano una magra sceneggiatura per le scazzottate
dei film di Bud Spencer e Terence Hill, sempre gradevoli sullo
schermo, ancorché ripetitive, soprattutto per la simpatia dei
protagonisti. Diverse
sono invece le poche pagine dell’epilogo che, come il prologo, non
presentano soluzione di continuità col racconto.
Qui Chesterton ci riserva la “vera” sorpresa finale del libro,
con Basil Grant “necessariamente” Presidente del Club dei Mestieri
Stravaganti e regista di questa società alternativa.
La scena mi è molto familiare: il banchetto finale ricorda
pienamente le gaudenti cene goliardiche (pantagrueliche) dei miei anni
universitari (Mario Monti non veniva mai, Fabrizio Saccomanni sì!),
mentre le formali relazioni dei membri del Club con brindisi e battimani,
richiamano le più noiose conviviali del Rotary.
Le spiegazioni conclusive di Basil Grant (giudizio morale e
tribunale penale volontario) sembrano, a questo punto, quasi superflue. D) Valutazioni
conclusive Un’epopea dei
protagonisti o un vero ciclo, come dice Chesterton nelle righe finali del
libro. Questo
l’insieme dei racconti. Un ciclo relativo e
una epopea per modo di dire. Ciclo
lo diventano davvero i vari gruppi di racconti di Padre Brown, espressione
matura di un nuovo modo di fare “poliziesco”.
Epopea, mah ?!
Più esplorazione e sperimentazione di un genere letterario che si
dovrà affermare, sempre che non si voglia leggere l’affermazione come
autoironica. Il libro, nel suo
insieme, è piacevole, fresco e giovanile.
Pur essendo, come già detto, molto innovativo, non ha certo la
struttura e determinazione del “Napoleone di Notting Hill”
(dell’anno precedente – 1904) che vuole dimostrare la tesi del valore
delle “piccole patrie” e affermare un modo alternativo di vedere e
fare politica che, forse, avrebbe permesso di evitare la catastrofe della
Prima Guerra Mondiale, scontro finale fra imperialismi maturi già a
cavallo fra ottocento e novecento, ben previsto da Chesterton. In definitiva, il
“Club” è proprio un vero “divertissement” giovanile, ma che, in
quanto tale e in presenza di qualità, è preludio di future opere mature
di alto livello. In questa logica,
due piccole, marginali, osservazioni formali.
Nell’edizione Guerrino Leardini (2013), gli errori di stampa sono
numerosi, qualche disattenzione poteva essere facilmente evitata (vedi, a
puro titolo di esempio, un Basil in luogo di un Rupert a pag. 144, ultima
riga), la traduzione è spesso un po’ sopra le righe ed enfatica nella
scelta di molti aggettivi ed avverbi, con l’uso sovrabbondante di
accrescitivi e di verbi esasperanti (non ho sottomano la versione
originale inglese, ma, si sa, “traduttore – traditore”!), nella
bibliografia si nota infine la mancanza della traduzione italiana dei
titoli delle opere….tradotte. Seconda
osservazione: perché, nel titolo, Mestieri “stravaganti”? (in inglese
Queer Trades). Emilio
Cecchi aveva proposto il più lineare “strani”, ma anche strambi,
eccentrici, originali, estrosi, potrebbero andare benissimo.
Personalmente, preferirei “bizzarri” (ispanismo?,
francesismo?), che mi sembra rendere in modo colorito ed efficace lo stile
scritturale e lo spirito di Chesterton.
Le “bizze” in senso bonario ed ironico erano (sono) nel suo
carattere e forse, chissà, la parola “bizzarri” gli sarebbe piaciuta. Concludendo, e
bando alle minuzie formali, il “Club” è un bel libro da leggere per
sorridere dentro e fuori e per risollevare lo spirito.
Anche a 109 anni di distanza.
E, per totale spirito di contraddizione e in “paradossale”
disaccordo con Chesterton, “quando NON vale la pena di fare una cosa,
vale la pena di farla BENE”.
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