I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi Elia | |
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Elia
e Gilbert
Evidenziare
i riferimenti ad Elia che si possono individuare dalla lettura non
affrettata delle opere di GKC ha lo scopo di metterne in evidenza
l'ispirazione più che una citazione intenzionale. L'ispirazione
può essere stata sia diretta, derivata cioè dalla lettura dei
testi sacri, sia indiretta cioè mediata dalla cultura dei suoi
contemporanei, sia essere casuale dovuta cioè ad un convergere
non preordinato di temi e di valori, ed allora sarebbe la meno
casuale. Non siamo assolutamente in grado di distinguere quale sia
la strada che Elia ha seguito per giungere sulla pagina del
nostro, ci sembra comunque già interessante riconoscerne la
presenza. Almeno tre sono le vicende della vita di Elia che
trovano eco sulle pagine di GKC. §1
La prima riguarda la vigna di Nabot ([I Re 21;1-26] oppure in
forma breve [I Re 21;4-7]) Questo episodio viene citato
esplicitamente nell'Uomovivo
quando Innocenzo Smith seguito dal curato si incammina sui tetti
per eseguire il presunto "esproprio proletario" ante
litteram. ed il curato Percy la porta come esempio di un
qualcosa che va rispettato perché vuoto balocco (pagina 124). Anche
senza questo richiamo esplicito potremmo affermare comunque
l'interesse del nostro per questa vicenda, se pensiamo a quella
vigna da un punto di vista simbolico. Riusciamo ad individuare due
ambiti di interesse di GKC che sarebbero mossi da Nabot. Due
motivi per i quali lo avrebbe certamente difeso contro le pretese
del Re Acab. Nabot
infatti si presenta come un difensore della propria tradizione
familiare, dato che rifiuta di cedere la vigna dei suoi padri in
cambio di un pagamento che possiamo ritenere allineato con quelli
di mercato. Il rifiuto, abbiamo sentito è motivato proprio da
queste parole Mi guardi il
Signore dal cederti l'eredità dei miei padri. Sappiamo bene
dal quarto capitolo di
Ortodossia quanto
contasse per GKC la tradizione vista come una forma estesa di
democrazia, del potere del popolo appunto (pagina 50: La democrazia ci insegna di non trascurare l'opinione di un saggio anche
se è il nostro servitore; la tradizione ci chiede di non
trascurare l'opinione di un saggio anche se è nostro padre).
Ma in questa vicenda, il popolo, istigato dalla demagoga Gezabel
opprime Nabot il difensore della estensione e restringe l'ambito
della verità e di qui della libertà. L'alleanza
tra Stato (il Re e chi agisce per lui) e Società (gli anziani ed
i capi) schiaccia il difensore della tradizione. Acab
disprezza, di fatto con la sua offerta, l'opera che ha portato ad
impiantare la vigna su quel terreno e vi ha quindi incorporato
grandi quantità di lavoro non remunerato. Chiede che il frutto di
quell'operare attento e prolungato nel tempo sia sradicato per far
posto ad un orto e propone in cambio del denaro od altri beni
fungibili e quindi economici. Nabot non accetta (ed i
Chesterbelloc sono certamente con lui) perché non sono in ballo
soltanto valori economici ma anche la relazione che una persona
(in questo caso una famiglia) istituisce con il proprio lavoro, al
fine di assicurarsi una indipendenza che non è soltanto
economica.
GKC
vede la stessa radicalità nello scontro tra Roma e Cartagine
concretizzata attorno alla figura di Annibale (etimologicamente la
grazia di Baal). Certo
GKC non ha mai sgozzato falsi profeti, però la sua avversione
proprio per Baal ed i Fenici è ben riconoscibile e viene data
esplicitamente in numerosi passi dell'Uomo
Eterno. Il senso che il nostro dava alle guerre Puniche ci
consente di comprendere questa sua avversione per i Fenici e per
la loro religione incentrata sulla venerazione di Baal (Moloch) al
quale dedicavano sacrifici di bambini. Chesterton considerava i
Romani come i portatori di quelle virtù virili, civili, militari
e famigliari così poco pratiche come il coraggio, l'onestà, il
rispetto della parola, .. .. che
fanno la grandezza dei popoli; al contrario (pagina 133) dice: quello
dei Fenici era un popolo pratico che sapeva produrre, commerciare
ed arricchirsi. Il contrasto tra il popolo pratico e quello
virtuoso era insanabile. Era tanto insanabile da farlo tornare più
volte nell'Uomo Eterno
ad esprimere questa sua ostilità e ad esaltare Roma ed Israele
(Catone ed Elia) per la loro strenua lotta contro Cartagine e Baal.
Ora se il popolo è desideroso di efficienza cosa c'è mai di più
pratico di offrire sacrifici anche umani al Dio? Aggiungeremmo noi
cosa di così poco pratico come il Dio che sacrifica sé stesso
per espiare le colpe degli uomini? Non sarebbe più pratico un Dio
che chiede agli uomini i sacrifici per essere compensato dei loro
peccati? Poi,
Chesterton ricorda (ancora a pagina 133), queste due visioni così
distanti come quella di Roma e quella di Israele si troveranno
alle origini del cristianesimo per salvare il mondo. I
Romani erano risoluti e testardi ed alla fine il loro coraggio e
la loro determinazione (così poco pratica) vinsero sulla praticità
dei Fenici e la distruzione fu condotta ferocemente. Come
altrettanto feroce era stata la distruzione dei profeti operata da
Elia.
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