I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi in dettaglio |
UNA
GIOIA ANTICA E NUOVA
di G.K. Chesterton Una
sorpresa non minore colpisce l’appassionato lettore di GKC che saturato
da densissimi testi come Ortodossia, Uomo Eterno ecc. trova finalmente
tradotta questa serie di critiche letterarie e vi respira un’aria
completamente diversa. In
questa serie di critiche, originariamente poste come introduzione alle
opere di Charles Dickens e poi riunite in un volume nel 1911, invece lo
stile è radicalmente diverso: la trattazione è distesa e lineare ed i
paradossi rari. Il paradosso e l’evocazione lasciano il posto alle
definizioni ed alla narrazione particolareggiata, la contrapposizione
audace alla meditata elencazione ed alla comparazione puntuale. Il
registro rilassato si trova d’altronde anche negli altri scritti di
critica letteraria rimarcando con questo una scelta consapevole e voluta
determinata dal genere. Si vedano anche ad esempio “L’Età Vittoriana
nella Letteratura” ed il “George Bernard Shaw”. La
critica letteraria, infatti, ci dice lo stesso Chesterton non ha lo scopo
di sorprendere il lettore ma di far balzare sulla sedia l’autore e
questo è forse il più paradossale dei paradossi dato che sembra
piuttosto difficile che Chesterton facesse fare i balzi sulla sedia ad un
autore che era già morto prima che lui nascesse. Il desiderio di far
sobbalzare l’autore non trovava comunque origine nell’aspirazione
superomistica di porsi come colui che separa i bravi scrittori da quelli
scarsi ma dalla tensione di immedesimarsi nell’autore per farne emergere
le buone qualità. Era
sicuramente in relazione a Dickens, in effetti, che Chesterton doveva
trovare più spontaneamente la condivisione di impulsi e di valori. Del
romanziere infatti diceva che sapeva trattare gli uomini con originalità
e le idee con superficialità; tratti questi che troviamo anche nel
nostro, a patto di definire meglio ciò che intendiamo dire parlando di
superficialità riguardo le idee. La superficialità sappiamo bene non è
indifferenza, è invece l’approccio con il quale Chesterton coglie di
un’idea o di un movimento di pensiero solo gli aspetti che lo
interessano. Prendiamo
un esempio dalle critiche a Charles Dickens, più precisamente al Nicholas
Nickelby, del quale loda il romanticismo causando una reazione di ripulsa
in chi (come chi vi scrive) del romanticismo conosce e con poca simpatia
le opere liriche come La Traviata o racconti come quelli del giovane
Verga. Fortunatamente Chesterton si esprime descrivendo come intende il
romanticismo; in questo modo fa si che il lettore comprenda come la sua
idea di romanticismo sia più vicina allo spirito cavalleresco che non
alla letteratura di fine ottocento. Chesterton, infatti, non si è
preoccupato di mettere a tema tutti gli aspetti di quella corrente
letteraria, ma ne ha enucleato alcuni. Dice infatti “amare qualcosa
senza desiderare di combattere per averla non è amore ma lussuria”. Del
romanticismo non considera ad esempio né l’interesse verso la morte né
il pessimismo verso la famiglia ma soltanto quel legame tra “guerra e
corteggiamento”. Questo
comportamento fa attribuire senz’altro a Chesterton la qualifica di
superficiale, ma gli consente di approvare quei valori che i seguaci del
romanticismo (e questi sono uomini) professano in accordo con lui, e
quindi di amarli per “aspetti originali e con creatività” nella
condivisione di valori riconducibili all’essere e non disvalori
riconducibili al non essere. Pochi
anni dopo aver steso queste critiche (nel 1913) Chesterton compilò una
ampia rassegna della letteratura inglese dell’età vittoriana, alla
quale abbiamo accennato più sopra, ove diede resoconto del fatto che
Dickens “godeva” di tutti gli uomini che trattava nei suoi libri. Ed
anche i lettori partecipano di questo godimento nato dall’amore verso
gli uomini. I
punti di curiosità e di ripresa delle polemiche non sono comunque rari in
questa raccolta di recensioni, vi troviamo infatti riferimenti allo stato
servile, al filantropismo, al calvinismo, all’evoluzionismo e ad altre
strutture di pensiero e pratiche che minano la grandezza dell’uomo. Ne
“L’Età Vittoriana nella Letteratura” ricorderà anche come Dickens
simpatizzasse “veramente con ogni sorta di vittima di ogni sorta di
tiranni” e questo “contrariamente ai riformatori sociali”. Questa
raccolta non è infatti un’opera polemica, ma una dichiarazione di amore
di Chesterton verso Dickens, un amore che non è cieco, anzi aiuta a
discernere meglio i suoi difetti e le sue carenze letterarie. A questo
proposito torna alla mente quanto diceva in “Ortodossia” a proposito
dell’amore verso la Patria, che non deve farcene dimenticare le colpe. A
partire dal Nicholas Nickelby dice infatti che i libri successivi saranno
romanzi ed anche di pessima qualità; in altre occasioni parlerà di
creatività scadente. In
ciascun capitolo del libro Chesterton esamina una diversa opera: dal
Circolo Pickwick al Davide Copperfield all’Oliver Twist ed alle altre
opere; lasciamo al lettore appassionato di godere della precisione e
dell’attenzione con cui le esamina e le critica. Ci
soffermiamo invece sull’analisi che Chesterton compie dell’ultima
opera rimasta incompleta di Dickens che è particolarmente interessante in
quanto ci illumina sul suo approccio verso il romanzo poliziesco. “Il
Mistero di Edwin Drood” doveva essere un giallo rimasto però irrisolto
a causa della morte dell’autore e perciò non possiamo sapere chi sia
l’assassino. Chesterton riporta le teorie di diversi critici letterari
che avevano cercato di dipanare la vicenda presentando ipotesi talvolta
semplici, talaltra fantasiose sulla parte del romanzo che non era stato
scritto. Il nostro, appassionato lettore di quel genere di letteratura
ancor prima che autore egli stesso, esamina e critica quelle ipotesi ed
esprime delle argomentazioni favorevoli o contrarie che sono una valida
fonte di informazioni su come intendesse quel genere. Edwin
Drood è un giovane architetto scomparso dopo aver passato una serata in
compagnia di uno zio (Jasper) che lo ama e di un signore (Landless) con il
quale si è rappacificato dopo un periodo di aspra ostilità. Chesterton
trova interessanti, e descrive nei particolari, gli accorgimenti
stilistici con i quali Dickens fa credere che il colpevole della
sparizione sia lo zio. In effetti questi esprime il rimorso per aver
causato la morte del nipote. Sembrerebbe tutto sistemato, ma Dickens negli
ultimi capitoli fa comparire un personaggio divertente e spigliato (Datchery)
che, camuffato sotto una parrucca, è impegnato a trovare le prove
dell’omicidio compiuto da Jasper. A quel punto la narrazione si
interrompe a causa della morte di Dickens. Ovviamente
la cosa non è finita qui, infatti, diversi critici hanno cercato, se non
di completare il romanzo, almeno di scovare il colpevole e di svelare la
vera identità di Datchery. Alcuni critici hanno ipotizzato che Jasper,
essendo dedito all’oppio avrebbe drogato il nipote e sotto l’influsso
della droga avrebbe compiuto un tentativo non riuscito di strangolarlo.
Entrambi poi, al momento di tornare allo stato di coscienza, prima il
nipote e poi lo zio, non avrebbero ricordato con precisione l’accaduto.
Drood per sincerarsi sul comportamento dello zio avrebbe assunto
l’identità di Datchery per poter compiere le indagini più liberamente. Chesterton
nega che questa possa essere la soluzione progettata da Dickens, fa notare
dapprima come sia bizzarro che ad investigare su un omicidio sia proprio
la vittima (è immediato per noi ricordare il “Delitto a Villa Roung”
di Achille Campanile). Esamina poi il carattere comico e vivace di
Datchery, che trova incongruente con il carattere dubbioso e cupo che ci
si aspetterebbe in un Drood redivivo alla ricerca di chi aveva tentato di
ucciderlo. Con
argomentazione analoga Chesterton rigetta l’altra ipotesi, secondo la
quale Datchery sarebbe il riuscito travestimento della sorella di Landless
che era apparsa all’inizio del romanzo come una “principessa
barbara” “scontrosa e misteriosa” Per poter diventare Datchery
sarebbe dovuta essere fin dall’inizio più gradevole e simpatica,
altrimenti (ed è il caso) la trasformazione risulterebbe non credibile. In
conclusione Chesterton ci avverte sulla differenza essenziale che
caratterizza i romanzi polizieschi rispetto agli altri generi di romanzi.
Il romanziere classico ha lo scopo di tenere concentrati i lettori, al
contrario lo scrittore di romanzi gialli cerca di distrarli. Le ipotesi
fatte, quindi, siano pure le più plausibili ma, proprio per questo
motivo, sono destinate a risultare false in quanto effetto dei depistaggi
che l’abile Dickens ha seminato nella trama. Recensire
una recensione senza giudicare il recensito ma soltanto il recensore?
Forse saremo riusciti nel compito se avremo sollecitato a leggere le
recensioni nelle quali gli amanti di Dickens potranno trovare giudizi e
posizioni con i quali confrontarsi; gli amanti di Chesterton potranno
goderne uno stile di scrittura particolare ed accurato nelle
argomentazioni. Per
quanto riguarda questa recensione delle recensioni mi è doveroso fare due
conti. Per recensire le circa diecimila pagine delle opere di Dickens
(stima nasometrica) Chesterton ha impiegato 200 pagine con un rapporto di
circa 50 a 1. Per recensire le 200 pagine di Chesteron qui ne sono
impiegate 4, di nuovo con un rapporto di 50 a 1. Chi volesse iterare
l’operazione, scrivendo la recensione della recensione delle recensioni,
non avrebbe a disposizione che 2 o 3 righe per stendere i suoi commenti
benevoli o malevoli che siano.
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