I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi       in dettaglio

 

L’UOMO CHE SI MISE UN CAVOLO PER CAPPELLO
di G.K. Chesterton


(Tales of the Long Bow  – 1925)  

Note di Cesare Surano


A) Introduzione

In realtà il titolo originale dell’opera è “Tales of the Long Bow” che tradotto letteralmente in italiano, significa “Racconti dell’Arco Lungo”.    Il libro è quasi centenario, del 1925, e appartiene agli scritti di Chesterton successivi alla sua conversione formale al cattolicesimo.   È composto da 8 racconti, come sempre nel nostro autore di lunghezza quasi uguale, una trentina di pagine circa ciascuno, tutti ben collegati fra loro attraverso i diversi personaggi che a mano a mano si incontrano, ma diversi per argomenti, pur con un “fil rouge” comune e del tutto evidente.   Il primo e l’ultimo racconto si saldano idealmente con un personaggio minore, Archer, che vuol dire, con chiarissimi sottintesi, “Arciere”.

Che cos’è l’Arco Lungo? E che significato ha in questi racconti?

Qui, come spesso si deve fare con GKC, bisogna ritornare al Medioevo, alla guerra dei Cent’Anni fra Inglesi e Francesi per i possedimenti della Corona britannica in Francia (in particolare la Normandia dei Plantageneti) e a una delle battaglie più importanti e decisive, quella di Azincourt o Agincourt (25 ottobre 1415 – il celebre giorno di San Crispino) fra gli eserciti di Carlo VI re di Francia e di Enrico V re d’Inghilterra.   In sintesi, fu la vittoria inglese più famosa sul suolo di Francia, celebrata anche da poeti e letterati, ottenuta grazie ai famosi arcieri inglesi e gallesi, nettamente inferiori per numero all’imponente esercito francese, ma dotati dell’ancor più famoso “arco lungo” che permetteva con un tiro concentrato di frecce di perforare, appiedare e affondare nel fango delle paludi, la più pesante e impacciata cavalleria nemica “catafratta”.   La battaglia di Azincourt è ancor oggi celebrata nel Regno Unito, unitamente al leggendario “arco lungo”, e rappresenta militarmente anche la fine della “nobile cavalleria corazzata medievale” a favore delle più leggere e duttili fanterie.   Al di là dei risultati storici e bellici, la battaglia di Azincourt segna la fine di un’era, quella della secolare supremazia militare della cavalleria composta da “nobili”, per assegnare un ruolo determinante agli “uomini comuni”, ma dotati di fantasia creativa, di ingegno e di capacità innovative.

Chesterton assume il ruolo di “cronista” della Lega dell’Arco Lungo, ruolo quanto mai paradossale e scherzoso, malgrado l’intero scritto, quasi sempre in stile giocoso e goliardico, contenga in ogni racconto profondi significati ed evidenzi gli aspetti negativi e contraddittori delle nuove società cosiddette scientifiche, moderne, progressiste, di gran moda, politicamente corrette, radical chic e governate da un potere in apparenza volto al bene della società, ma in realtà oppressivo per l’uomo, per l’ambiente e, in definitiva, per la libertà.

Sono temi sempre cari a GKC, già trattati in tante altre opere, “L’uomo che fu Giovedì”, “Uomovivo”, “L’osteria volante”, ”Il ritorno di Don Chisciotte”, ecc., nonché in molti racconti della saga di Padre Brown.

In sostanza, attraverso una narrazione leggera e sorridente, apparentemente di “fantasy”, Chesterton rivela lo scontro epocale fra la filosofia “modernista”, col suo metodo darwiniano – evoluzionista, e il buon senso comune basato su solidi principi e valori tradizionali.    Ma che si dimostrano più rivoluzionari, aperti e innovativi di quelli ingannevolmente progressivi.

 


B) I racconti

Il primo (L’impresentabile aspetto del colonnello Crane) è forse il più lineare di tutti.   Introduce quattro personaggi principali (più uno, prosaico!, Archer) che ritroveremo anche nei racconti seguenti e si conclude con molta logica britannica, sempre paradossale (una scommessa da onorare) e con un “idillio” imprevisto e facilmente prevedibile.

Il colonnello Crane, pur onusto di gloria militare e in pensione, non è un “vecchio” colonnello, ma un prestante quarantenne, conservatore, misogino e un po’ rigido.    E’ lui che si mette in testa senza un motivo apparente un cavolo come cappello e “affronta” imperturbabile in questa grottesca “mise” la società locale.   La spiegazione è semplice: ha promesso all’amico Robert Owen Hood di mangiarsi il cappello se questi riuscirà a compiere una impresa quasi impossibile.   E, ovviamente e molto britannicamente, adempie alla promessa …. mangiando un cavolo.

L’avvocato Robert Owen Hood è il secondo estroso personaggio.   Si noti l’arguzia, anzi la malizia di Chesterton nei nomi: Robert Owen, utopista, fondatore di falansteri comunisti (anche i figli sono figli della comunità!) e protagonista del sindacalismo rivoluzionario di primo ottocento, e Hood, come il mitico Robin, sono “nomen omen” del personaggio che “non” può essere un avvocato tipico della tradizionale Inghilterra.   In questo racconto, tuttavia, si limita a vincere la scommessa e annunciare il proprio matrimonio, con effetti imprevisti per l’amico colonnello.

Anche il terzo personaggio, il Dr. Hunter, giovane medico (il gioco di parole diventerà evidentissimo nei racconti successivi: Hunter = Cacciatore), è qui appena accennato, ma diventerà il protagonista scientifico del darwinismo progressista e avversario giurato della Lega dell’Arco Lungo.

Il quarto personaggio è la deliziosa Audrey Smith, artista dallo spirito libero, critico e anticonformista, nemica del “politicamente corretto” dell’epoca e destinata inevitabilmente a fare coppia innamorata col colonnello Crane, che la chiama addirittura “mia diletta”.   Da notare il cognome Smith, più che comune in Inghilterra, lo stesso del protagonista, Innocenzo Smith, del precedente romanzo “Uomo vivo”.   Audrey ha riflessioni acutissime (soprattutto per l’epoca): “Conosco un mucchio di persone che pretendono di essere originali. ….. E ce ne sono un bel po’ anche tra gli amici vegetariani e socialisti di cui parlavate.   E’ ovvio che tutta questa gente non si farebbe problemi a girare con un cavolo per cappello.   Ciascuno di loro, se potesse, s’infilerebbe dentro una zucca.   Ciascuno di loro sarebbe capace di farsi vedere in giro vestito soltanto di crescione.   Ma è tutto lì.  Si vestirebbero di crescione perché sono creature d’acqua e seguono la corrente.   Si comportano così perché lo fanno tutti, perché quello è il comportamento normale nel loro mondo di bohémien.   Sono conformisti nel loro anticonformismo.   La cosa non mi preoccupa granché e penso sia molto divertente, ma non significa che io non sappia riconoscere l’autentica forza e l’autentico spirito indipendente.   Sarà anche tutto fluido e senza forma, ma la persona dotata di vera forza è in grado di creare un modello e poi d’infrangerlo”.

Che lezione di indipendenza di ragionamento e di pensiero “controcorrente”!   Che bastonata di quasi cento anni fa ai “radical chic” di oggi, ai salottieri riccastri e altezzosi e ai “sinceri democratici”!   E al relativismo, tanto di moda, anche a livello curiale!

E, successivamente, sempre l’artista Audrey, stende l’elogio del cavolo, esaltato dalla pittura olandese (Rembrandt, in particolare) e fiamminga del ‘600, contro la distorsione della letteratura e delle parole che si intromettono “fra loro e il mondo”.   Il cavolo è forse una parola buffa, ma in realtà è “una corona variopinta degna di un re!”.

Chesterton, in questo primo racconto, si limita a sfottere il conformismo del potere dominante, oggi immensamente amplificato dai “mass media”, ma sviluppa successivamente, senza remore, il suo pensiero avverso al cosiddetto mondo moderno e progressista, figlio di uno scientismo mal inteso.

Gli altri racconti sono infatti un “crescendo” sempre più marcato di questa contrapposizione, con uno scontro finale che vede la vittoria sorridente e irridente della Lega dell’Arco Lungo e del cavolo come corona della Britannia, espressione rivoluzionaria della corretta tradizione.   Alla domanda di Archer, “desiderate forse un altro cavolo, signore?”, il colonnello Crane risponde, non senza un brivido, “no grazie, grazie davvero …. non ho nulla contro le rivoluzioni, ma è una esperienza che non ripeterei più”.

I racconti successivi, che attraverso avventure “fantasy” portano alla battaglia dell’epilogo, introducono diversi e sempre interessanti personaggi che vale la pena di utilizzare come “fil rouge”, lasciando al lettore il piacere di scoprire la ”trama” specifica dei racconti stessi.   Insomma, i personaggi come “ordito” del libro, a comporre con la trama un tappeto variopinto.

 
           

C)   I personaggi rilevanti


Robert Owen Hood, avvocato quanto mai estroso, è per tanti versi l’opposto del suo grande amico colonnello Crane.   E’ un romantico rivoluzionario, tradizionalista e sognatore.  Senza contraddizione.   Ama crogiolarsi, “pescare senza nulla pescare”, nella verde magica natura fluviale inglese, su un isolotto nel corso superiore del Tamigi.

Il suo amore per l’ambiente sembra essere condiviso anche dal Dr. Hunter, ma l’idilliaca serenità del luogo viene sconvolta dalla modernità, sotto forma di lottizzazioni delle preesistenti proprietà per costruirvi quartieri operai e dalla realizzazione di una magnifica fabbrica che “deve” sviluppare il paese e la società.

E’ il progresso, bellezza! e ad esso tutto si piega, anche la scienza del sempre più ambizioso e corrotto Dr. Horace Hunter, “cacciatore” di carriera, di titoli, di fama, di gloria, di potere e di ricchezza.   La sua scienza pretestuosa non solo giustifica gli scempi, ma li esalta in nome dei tempi nuovi.  

A Robert Owen Hood non rimangono che due cose, entrambe superlative: vincere l’inquinamento del fiume dovuto agli scarichi della fabbrica, sempre negato scientificamente da Hunter, incendiandolo con una torcia, e vincere la scommessa con l’amico colonnello Crane che aveva affermato: “Saprete anche un mucchio di cose, ma non potete certo appiccare fuoco al Tamigi.   Se ci riuscite, mi mangio il cappello”.    Ah! Un'altra e ancora più importante vittoria: innamorarsi, riamato, della deliziosa, sempre sognata Elizabeth Seymour, antica proprietaria del luogo, che trasforma Robert, da romantico inconcludente, in un “uomo d’azione”.

Altri due personaggi principali che vanno ad aggiungersi agli altri “membri” della Lega dell’Arco Lungo, sono il capitano pilota Hilary Pierce e Joan Hardy, giovane figlia del locandiere John, allevatore di maiali e produttore di ottimo bacon.   Il primo è un fantasioso eroe dell’aria e la seconda una tranquilla “damigella” di campagna.   Ciò che li unisce, oltre ad una scontata attrazione amorosa, è una battaglia in favore dell’allevamento tradizionale inglese dei maiali, contro il sistema industriale americano di produzione di carne suina che si vorrebbe introdurre in Inghilterra, sempre in nome del progresso e della modernità.   Ovviamente, a difesa della sanità pubblica, come giudice di pace, si schiera il noto igienista Dr. Horace Hunter, nel frattempo diventato anche Sir, nella sua vertiginosa carriera.   Con lui, Mr. Rosenbaum Low, milionario, e il giovane socialista Mr. Amyas Minns, celebre per la sua opera divulgativa del pensiero di G. B. Shaw (stoccata di GKC !) e consigliere comunale laburista.

Come afferma, pare, in sua difesa il capitano Pierce, il giudizio dei tre contro la carne di maiale è scontato, dato che i giudici sono “un ebreo, un vegetariano e un ciarlatano di carriera”.   Chesterton qui è feroce verso gli specifici rappresentanti del progresso: lo scientismo, il capitalismo e il socialismo.   È invece poetico e romantico nell’inventare il “dono” di Pierce alla sua bella Joan: da un dirigibile a forma di maiale, lancia coi paracadute, in luogo di scontati omaggi floreali, tanti maiali sulla fattoria – locanda Hardy.   È quindi inevitabile il matrimonio tra i due giovani, malgrado le loro differenze sociali!    Potenza dei suini tradizionali inglesi!

Poi c’è il Reverendo Wilding White detto Wild White e il suo Snowdrop.   Il racconto che lo riguarda è un po’ stiracchiato (e per questo lo lasciamo al lettore), ma è meritevole di sottolineatura il fatto che GKC lo imposti tutto su giochi di parole molto inglesi e blande ironie su polizia locale e credulità popolare di paese.   In effetti, Wild White significa “selvaggio bianco o bianco selvaggio” e Snowdrop “goccia o fiocco di neve”, altrettanto bianco.   Si tratta della solita, irriverente e paradossale scommessa, giocata su equivoci lessicali, che si incarnano in un enorme “elefante bianco”, (Snowdrop, in realtà grigio-argento) che il bizzarro Reverendo porta al mercato delle “cose inutili” per beneficenza, diretto, manco a dirlo da Miss Julia Drake (Drago).   La storia è molto gustosa per chi conosce o ha vissuto le abitudini inglesi di paese, tutt’ora esistenti, basate su kermesse parrocchiali, mercatini delle pulci a scopo benefico e gare di destrezza quanto mai strane, tipo lancio del tronco d’albero o sollevamento di un vitello o tiri alla fune con squadre scapoli – ammogliati.   Anche i giochi di parole fanno parte del tradizionale “humor” britannico e il nostro autore vi sguazza beatamente.   Ovviamente, per chi è estraneo a questo mondo, l’effetto del racconto è fortemente ridotto, anche se il vero bersaglio è l’ottusità delle leggi e delle autorità verso quanto si presenti come stravagante, nella fattispecie un circo di animali “selvaggi”.

A questo punto, la Lega dell’Arco Lungo, consorteria di bizzarri, stravaganti pazzoidi assolutamente tradizionalisti (lo spiega l’avventuroso giro del mondo fra le società selvagge di Crane, con ritorno impeccabilmente inglese), introduce un nuovo personaggio: Enoch Oates.   Milionario, americano e, di conseguenza, per i membri della Lega, assolutamente ignorante e sincero, è il re della produzione industriale di salsicce.   Spiega ai disincantati, scettici inglesi del Club, sempre citando dati e cifre, come si possano fare affari e dollari con qualunque cosa, anche con gli scarti dei maiali, anche con le orecchie dei maiali ( la “pochette Sussurro Suino”, tanto “à la page”!).   Incarna lo spirito di intraprendenza degli americani, la loro elasticità mentale, la loro metodologia di approccio al mercato e attribuisce le sue qualità imprenditoriali all’intelligenza e all’intuizione della moglie.   Uno scandalo, un paradosso chestertoniano nella società maschilista di quasi cento anni fa!

Dai maiali, passiamo al verde e alle stelle; un po’, all’italiana, “dalle stalle alle stelle”.   Il nuovo, più che bizzarro personaggio, è l’astronomo Prof. Oliver Green.   Un astronomo che studia il cielo appoggiando il proprio telescopio in una fattoria, verde come il suo nome.   Dice GKC: “era un professore molto giovane, ma anche un giovane molto vecchio che aveva elaborato una grandiosa Teoria universale omnicomprensiva che aveva finito per colmare tutta la sua vita”.   Uno scienziato puro, un altissimo matematico, che ha preparato un “paper” di astronomia assolutamente rivoluzionario che stravolge le tradizionali leggi della fisica (si può pensare a Einstein?), talmente rivoluzionario che solo la bella figlia dai capelli rossi del fattore, Margery Dale (da notare, i soliti capelli rossi delle eroine chestertoniane!!), è in grado di comprendere perché è un’anima altrettanto pura.   Ma forse anche perché è innamorata del giovane strampalato astronomo che rivela, togliendosi gli occhiali scuri, “un paio di stupefacenti occhi azzurri.  Dall’aria fanciullesca, addirittura puerile”.   Occhi che non possono che amare la “meravigliosa” Margery.

Ovviamente l’esposizione delle bizzarre, per non dire altro, teorie del Professor Green al congresso astronomico di Bath (un bagno … di sangue !!) non possono che suscitare scandalo, facendo giudicare pazzo il relatore e costringendolo alla fuga per sfuggire all’arresto come demente furioso.   Altrettanto ovviamente, Green viene salvato “al volo e in volo” dal capitano pilota Hilary Pierce, non senza aver malmenato il sempre più illustre e potentissimo Dr. Hunter (la scienza ufficiale), e accolto naturalmente, come gli altri squinternati dei racconti precedenti, nel Club della Lega dell’Arco Lungo.

Nuovi e vecchi personaggi s’avanzano nel settimo racconto: Il Conte di Eden, Primo Ministro, fresco vincitore per la terza volta delle elezioni con lo slogan “Razionalizzare, non nazionalizzare” (ricorda tanto il “faremo le riforme” di oggidì e poi, quell’Eden !!) e i suoi tre maggiori sostenitori, il solito Sir Dr. Horace Hunter, grande difensore delle politiche scientifiche, Lord Normantower (si noti il significato, Torre Normanna) e il filantropo ebreo Rosenbaum Low.   Il loro grande problema era l’improvvisa pazzia del milionario americano Enoch Oates che, invece di portar via dal Regno Unito beni inglesi di qualunque tipo, fatto considerato già normale nel mondo globalizzato di allora, aveva regalato ingiustificatamente terra inglese agli inglesi, comprando una enorme tenuta e donandola ai suoi fittavoli.   “Effetti già alquanto deplorevoli” sostiene energicamente Sir Horace Hunter, raccontando quanto avvenuto col Prof. Green, “piazzato” nella fattoria del fittavolo Dale, impazzito al Congresso di Astronomia di Bath e “salvato” da un altro pazzo, il capitano volante Hilary Pierce, maledetto agitatore.

Enoch Oates, invitato – imputato alla riunione, alle insinuanti e viscide proposte del Conte di Eden di rinunciare ai suoi propositi, se ne va sdegnato e indifferente, accusando di “corruzione” l’intero gruppo dei “filantropi”, rimarcando il nome di Rosenbaum, chiaramente ebraico e quindi molto utilitaristico e poco filantropico, e accettando poi con palese ironia il secondo nome, quasi di copertura, Low, cioè “basso, piccolo, meschino”.

Quale soluzione può proporsi il gruppo di governo per far fronte allo sconsiderato e rivoluzionario atto del milionario Enoch Oates?   Il Primo Ministro Conte di Eden decide il passo ancora più radicale e rivoluzionario: nazionalizzare le terre e le proprietà, facendosi sostenere dall’opposizione socialista e realizzando l’Autentico Socialismo.   E che fare dello slogan “Razionalizzare, non nazionalizzare”?   Lo si trasforma in “Nazionalizzare, non razionalizzare”, tanto, dice Eden, è la stessa cosa.   E chi sarà il gestore del nuovo patrimonio nazionalizzato?   Naturalmente lo stesso Gruppo di Filantropi, lo stesso gruppo di potere, in nome e per il bene della collettività.   Democraticamente e per la Civiltà.

Ma, ma ….. A questo punto entra in scena l’ultimo stravagante personaggio della Lega dell’Arco Lungo: il comandante Bellew Blair, detto anche Bellows Blair, Blair il Mantice, che durante la guerra si occupava di progetti speciali, nella fattispecie di dirigibili.   Blair, alias Welkyn di Welkin, che scrive lettere apparse dal nulla al Primo Ministro Conte di Eden dal suo Welkin Castle,  chiedendo prima informazioni sulla nazionalizzazione, poi opponendosi recisamente alla stessa.   La sua bizzarria, in parte svelata da Enoch Oates, ormai membro a pieno titolo della Lega, si traduce in un “castello volante”, un dirigibile a forma di castello, da cui piovono le missive e, successivamente, le “dichiarazioni di guerra” politiche al progetto di nazionalizzazione delle terre, riassumibili nell’affermazione “La dimora di un inglese non è più un castello che poggia su suolo inglese.   Dev’essere sospesa in aria”.

Una vera “dichiarazione di guerra” (che si lascia gustare integralmente al lettore) e che prelude allo scontro finale fra la Lega dell’Arco Lungo, con tutti i suoi bizzarri ed eterogenei componenti, e che diventa un sostanziale movimento politico, e il Potere in Essere, filantropico, socialista, scientista, evoluzionista, progressista e quanto più si può, a beneficio del Popolo, della Società (e di Se Stesso).


 

D)   L’ultimatum finale


L’ottavo e ultimo racconto del libro si intitola proprio “L’ultimatum finale della Lega dell’Arco Lungo”.   In realtà si tratta di un “flash back” che si ambienta nella casa di Robert Owen Hood e di sua moglie, la deliziosa Elizabeth Seymour, dove si radunano tutti i protagonisti della Lega dell’Arco Lungo, con l’eccezione di Enoch Oates, tornato in America, ma presente spiritualmente per lettera, per ricordare, celebrare, commentare e valutare la loro vittoria, che è poi la vittoria della gente comune inglese, contro il Potere imperante, il “politicamente corretto”, il falso progresso modernista e scientista.

Il racconto ripercorre tutte le fasi dello scontro politico e goliardicamente bellico e nessun riassunto può sostituire quanto il “bardo” GKC ha scritto.   È tutto da leggere perché è una sorta di crescendo rossiniano, che culmina nella vittoria finale dei valori tradizionali e del buon senso comune sostenuti dai bizzarri, quasi folli membri della Lega diventati celebri con il soprannome di “Bugiardi”.

Dice testualmente Chesterton: “Il loro motto e slogan si sentiva ripetere ovunque come un ritornello: solo i Bugiardi Dicono la Verità!”.   La gente comune li segue, aumentando di giorno in giorno, perché comprende che non avrebbero promesso ciò che non potevano mantenere.   “Il soprannome del gruppo divenne un beffardo simbolo di dignità e idealismo”.   “Si trattava di una curiosa organizzazione nata dalle irragionevoli scommesse e dagli scherzi assurdi praticati da un manipolo di individui eccentrici.   Che però si erano vantati dell’atteggiamento logico, addirittura letterale, con cui avevano tenuto fede a certe solenni promesse a proposito di elefanti bianchi e maiali volanti”.   Ma quando gli avversari li avevano scherniti per il loro mito dei “Tre Acri e una Mucca”, avevano reagito dichiarando: “Certo, un mito come quello della mucca che vola sulla luna.   I nostri miti, però, si avverano”.

Lo scontro finale, definito come Battaglia degli Archi o, meglio, Battaglia degli Archi di Dio, si trasforma in una grande vittoria.   È vero, abbiamo archi lunghi ed altri ancora più lunghi.   I più grandi che si siano mai visti sulla faccia della Terra.   Archi più alti di case, ricevuti da Dio in persona e abbastanza grandi per i suoi immensi angeli”, afferma il Reverendo Wild White.    Né, in questo caso, si può dubitare della vittoria, storica e decisiva.

La curva del “flash back” ha raggiunto il suo punto di massimo, il crescendo rossiniano si smorza e si ritorna alla normalità di una riunione fra amici forse un po’ meno bizzarri e scapestrati.   La riunione si scioglie, il colonnello Crane si avvia per tornare a casa, dove l’attende la tranquilla, ma sempre artista, moglie Audrey.   Ma, passando per l’orto, rifiuta, come già detto, un altro cavolo come cappello.

E allora, Archer, l’arciere, chi è?   Le domande, in sequenza ritmata, che gli rivolge Hilary Pierce, e che culminano in un favoloso interrogativo “Siete stato voi, che, ammantato di blasoni medievali e non di barbari colori, avete dato fiato all’aurea tromba nel momento in cui Beatrice ha salutato Dante sul ponte di Firenze?   Siete dunque voi quell’Arciere, o Archer, che ha consegnato a ciascuno di noi la sua Vita Nova?”

“No, signore”, rispose il prosaico Archer.

 

E) Valutazioni conclusive


Il libro è leggerissimo, assolutamente goliardico, ma ricco di spunti interessanti e di riflessioni profonde, soprattutto alla luce della nostra epoca.   Del nostro 2.0, tanto tecnologico, del nostro sempre più imperante “politicamente corretto”, del nostro relativismo che ormai ammorba anche il mondo cattolico ufficiale.

Chesterton, il “Bardo”, il cantore di questi racconti, non vuole solo divertirci con i suoi paradossi.   Ci diverte, senza dubbio; ci fa sorridere e, in qualche episodio, ci fa persino ridere, naturalmente all’inglese.   La sua inventiva è addirittura folle e la creatività dei racconti è ancora attualissima, da serial televisivo fantasy.   Ma …

Ma ci fa anche pensare, ragionare, “controcorrente”.   Dietro i racconti bizzarri, si coglie la volontà di farci intraprendere un percorso che si oppone al pensiero dominante, al potere mediatico imperante, alla scristianizzazione tanto ragionevole in apparenza, ma “falsa e bugiarda”, come dice Dante.

Dice, nel finale, “che lo sciocco scrivano della Lega dell’Arco Lungo non commetterà l’estrema follia di difendere i propri sogni.   Ma perlomeno ha teso l’arco in direzione di una sfida e scoccato la freccia: e non ha alcuna intenzione di mettersi a cercarla tra le querce del quartiere, né si aspetta di trovarla conficcata in guisa mortale e omicida nel cuore di un amico.   Il suo arco è soltanto un giocattolo.   E quando un ragazzo tira con un arco del genere, è sempre assai arduo trovare la freccia, e anche il ragazzo”.

Leggendo il testo coordinato da Alessandro Gnocchi in ricordo di Mario Palmaro, “Il buon seme fiorirà”, si ha la certezza che Chesterton è stato buon profeta.   Molti decenni dopo il 1925, la battaglia dell’Arco Lungo è stata combattuta da Mario Palmaro e da lui vinta con la sua prematura morte, dopo una vita coerente e intemerata.   “Bonum certamen certavi, cursus consumavi, fidem servavi”.

Anche a noi serve un Arco Lungo, anche noi dobbiamo quotidianamente combattere una nuova e diversa Battaglia di Azincourt, anche noi siamo chiamati, con sorridente allegria e autentico spirito goliardico, a confrontarci con un mondo falso che rovina e si sgretola, malgrado la scintillante apparenza e il grande potere politico, mediatico, globalizzato, economico – finanziario.

Dobbiamo solo impugnare con fede l’Arco Lungo.

 

                                            

Verona, 23 marzo 2018  

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