I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi       in dettaglio

 

L'UOMO CHE FU GIOVEDI' di G.K. Chesterton
 
(The Man Who Was Thursday  – 1908)  

Note di Roberto Prisco

 

L’INCUBO CHE FU DI GIOVEDI

 

Il punto principale da chiarire di “L’Uomo che fu Giovedì” è dato dall’inizio dell’incubo a cui accenna il sottotitolo, e dal quale Syme emerge in modo misterioso una pagina prima della fine. Avendo trovato conferma nella versione teatrale stesa da Ada Jones Chesterton (1), possiamo riconoscere tale inizio nel momento in cui Syme, dopo aver discusso con l’altro poeta Gregory, esce dal giardinetto di Saffron Park e lo trova ad attenderlo.

Dobbiamo chiederci adesso: “Che rappresenta l’incubo?” La vicenda reale, si ipotizza qui, continua a scorrere sotterranea all’incubo come un fiume carsico e lo determina e gli da forma, ed alla fine riappare con i due poeti che all’alba chiacchierano amichevolmente mentre passeggiano per un viottolo di campagna.

La nostra ipotesi di interpretazione individua due livelli di narrazione: quello principale al quale appartengono l’inizio e la fine e quello dell’incubo che copre la parte centrale della vicenda narrata. L’incubo riporta, appunto oniricamente, la trama che si svolge nel livello principale come contesa verbale tra i due poeti e che viene tenuta nascosta; solo alla fine a pacificazione raggiunta il livello principale tornerà in primo piano.

Cerchiamo di ricostruire quindi la vicenda che sarebbe rimasta sottotraccia e che avrebbe determinato il poeta Syme a raffigurarsene una versione onirica; appunto il sogno descritto nel romanzo. Visti l’inizio e la fine dell’incubo pare credibile che la vicenda debba essere la discussione che i due poeti hanno avuto durante la notte confrontando l’ordine con la libertà o forse il caos: i due principi di cui Syme e Gregory sono i paladini. Cerchiamo ora di ricostruire quella disputa sulla base degli indizi che troviamo nel sogno.

Gregory può sollevare al suo contraddittore come prima obiezione la presenza del male nel mondo; Syme risponde mostrando la lotta che il bene conduce per la sua sconfitta. Questa fase della discussione è rappresentata dalla contrapposizione tra Domenica ed il misterioso arruolatore di agenti speciali.

Proseguendo nelle obiezioni che adesso non riguardano tanto il male in sé quanto i singoli mali che affliggono gli uomini; la risposta è che tutti questi sono riflessi distorti del bene in vista del quale possono agire. Nel sogno questo è rappresentato dalla scoperta che i malvagi (incarnati nei giorni della creazione) sono tutti agenti del bene e che sono riconducibili ad un’unica regia, quella dell’arruolatore. Finché appaiono come anarchici malvagi sono appunto deformi e spaventosi per poi assumere un aspetto più gradevole, più umano. Questa fase è la più lunga, dato che richiede che si passino in rassegna i diversi mali che ci affliggono e si scopra che hanno una funzione di bene.

I poeti si può ipotizzare che  si chiedano a questo punto della discussione, dopo aver fatto una disanima delle pecche dell’umanità, che cosa sia questo principio di bene che comanda i finti mali? Nell’incubo inizia la caccia a Domenica, l’inafferrabile capo anarchico che fugge all’inseguimento lanciando foglietti con frasi incomprensibili sia per i suoi inseguitori sia per noi. L’inafferrabile Domenica, soprattutto quando viene svelato come l’arruolatore, sfugge anche ad una nostra definizione potendo essere Dio, ma anche la Natura, l’Ordine, il Padre, il Demiurgo, il Creatore, qualcosa comunque che vale la pena di raggiungere.

Intanto i due poeti paladini della vicenda sottostante, che hanno concluso che ciò che opera per il bene e ciò che opera per il male hanno una origine comune e disputano sugli ultimi contrasti, che troviamo riaffiorare quasi letteralmente nella parte finale dell’incubo: Gregory “Noi anarchici siamo superiori perché soffriamo la solitudine di chi non ha una fede ed una certezza sul mondo.” Syme: “Noi che amiamo l’ordine ne soffriamo la mancanza maggiormente rispetto a chi ritiene il mondo dominio del caos.”

Qui, prima di seguire la disputa che da cosmica è divenuta personale ci fermiamo un attimo per preparare con due riferimenti il senso della soluzione. Il primo riferimento da fare è all’inevitabile Libro di Giobbe, rispetto al quale rimarchiamo che nel testo sacro Dio compare all’inizio e da subito mette alla prova la fede di Giobbe, una fede che c’è già; nel Giovedì al cospetto di Domenica (Dio o che altro) i nostri eroi giungono alla fine dopo aver superato le prove ed aver rafforzato la fede. Anche qui non si ha risposta, anche Domenica rimane indicibile, inconoscibile e provvidente. Il secondo riferimento è a Borges (2) che ha parole chiare a proposito di Dante e che toccano il punto della presenza del male nel mondo. Dante dice Borges “Deve accettare il male nel mondo e allo stesso tempo adorare quel Dio che non comprende”.

Syme ha concluso la sua ricerca, ha accettato l’ineffabilità del Principio creatore e provvidente che opera anche attraverso la sofferenza umana, ma gli rimane un ultimo dubbio che viene riportato ancora letteralmente nell’incubo. Chiede infatti a Domenica (Dio o altro che sia) “Tu hai sofferto? O la sofferenza è solo per noi uomini?”

La risposta è insicura, sia per pudore oppure sia per una conversione al cristianesimo non ancora completata, Chesterton conclude l’incubo con un incerto richiamo alla sofferenza di Cristo.

Adesso l’incubo è finito, la disputa è conclusa l’accordo è raggiunto: un ordine regna anche sulle cose apparentemente più disordinate e, forse, Dio ha sofferto come noi. I due poeti riconciliati possono chiacchierare amichevolmente di un qualsiasi argomento e rivedere la ragazza con i capelli rossi: la sorella di Gregory che avevamo incontrato nel giardinetto di Saffron Park e che rappresenta il legame con la realtà concreta, e forse quella ragazza che Chesterton aveva conosciuto a Bedford Park.

Se vogliamo dare una conclusione, quella più corretta è forse quella che GKC stesso aveva dato nella dedica del Giovedì fatta all’amico Bentley: “Abbiamo trovato finalmente le cose comuni, e le nozze ed un credo, ed ora io posso scriverne tranquillamente e tranquillamente puoi leggere tu.”

Chissà se la vicenda qui immaginata non sia stata in realtà una lunga disputa tra il nostro e l’amico Bentley; ed eventualmente quale dei due sia adombrato in Syme e quale in Gregory?

O forse non erano entrambi due aspetti in contrasto della personalità di GKC? In questo caso si verrebbero a scontrare in Chesterton i due principi dell’ordine e della libertà che possono avere una realizzazione completa soltanto nel principio di creazione. Per tutta la vita in effetti Chesterton ha sostenuto non solo la compatibilità tra i due principi ma che l’uno potenzia l’altro, che cioè solo nell’ordine è possibile la vera libertà.

L’interesse per la dottrina sociale della Chiesa, ad esempio, sorge dalla constatazione che l’ordine che GKC osserva nella società del suo tempo, in realtà è un disordine coperto da finzioni come i diritti civili, la libertà economica, una finta tradizione che risale ad eventi illegittimi derivanti dalla Riforma ecc. In questa prospettiva si comprendono racconti meglio riusciti da un punto di vista letterario come ”L’Osteria Volante” ed altri meno riusciti come “Il Ritorno di don Chisciotte”.

Si potrebbe a questo punto pensare di rivedere tutta l’opera di GKC alla luce di questo contrasto ed alla necessità di comporlo.

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1 A Chesterton R. Neale “L’uomo che fu Giovedì” Gribaudi, Milano, 2001. Pag. 36.

2 J. L. Borges “Nove Saggi Danteschi”, Adelphi, Milano, 2001, pag. 130


Verona, 17 luglio 2014

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