I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi in dettaglio |
L'UOMO
CHE FU GIOVEDI'
di G.K. Chesterton Note di Roberto
Prisco L’INCUBO CHE FU
DI GIOVEDI Il punto principale
da chiarire di “L’Uomo che fu Giovedì” è dato dall’inizio
dell’incubo a cui accenna il sottotitolo, e dal quale Syme emerge in
modo misterioso una pagina prima della fine. Avendo trovato conferma nella
versione teatrale stesa da Ada Jones Chesterton (1), possiamo riconoscere
tale inizio nel momento in cui Syme, dopo aver discusso con l’altro
poeta Gregory, esce dal giardinetto di Saffron Park e lo trova ad
attenderlo. Dobbiamo chiederci
adesso: “Che rappresenta l’incubo?” La vicenda reale, si ipotizza
qui, continua a scorrere sotterranea all’incubo come un fiume carsico e
lo determina e gli da forma, ed alla fine riappare con i due poeti che
all’alba chiacchierano amichevolmente mentre passeggiano per un viottolo
di campagna. La nostra ipotesi
di interpretazione individua due livelli di narrazione: quello principale
al quale appartengono l’inizio e la fine e quello dell’incubo che
copre la parte centrale della vicenda narrata. L’incubo riporta, appunto
oniricamente, la trama che si svolge nel livello principale come contesa
verbale tra i due poeti e che viene tenuta nascosta; solo alla fine a
pacificazione raggiunta il livello principale tornerà in primo piano. Cerchiamo di
ricostruire quindi la vicenda che sarebbe rimasta sottotraccia e che
avrebbe determinato il poeta Syme a raffigurarsene una versione onirica;
appunto il sogno descritto nel romanzo. Visti l’inizio e la fine
dell’incubo pare credibile che la vicenda debba essere la discussione
che i due poeti hanno avuto durante la notte confrontando l’ordine con
la libertà o forse il caos: i due principi di cui Syme e Gregory sono i
paladini. Cerchiamo ora di ricostruire quella disputa sulla base degli
indizi che troviamo nel sogno. Gregory può
sollevare al suo contraddittore come prima obiezione la presenza del male
nel mondo; Syme risponde mostrando la lotta che il bene conduce per la sua
sconfitta. Questa fase della discussione è rappresentata dalla
contrapposizione tra Domenica ed il misterioso arruolatore di agenti
speciali. Proseguendo nelle
obiezioni che adesso non riguardano tanto il male in sé quanto i singoli
mali che affliggono gli uomini; la risposta è che tutti questi sono
riflessi distorti del bene in vista del quale possono agire. Nel sogno
questo è rappresentato dalla scoperta che i malvagi (incarnati nei giorni
della creazione) sono tutti agenti del bene e che sono riconducibili ad
un’unica regia, quella dell’arruolatore. Finché appaiono come
anarchici malvagi sono appunto deformi e spaventosi per poi assumere un
aspetto più gradevole, più umano. Questa fase è la più lunga, dato che
richiede che si passino in rassegna i diversi mali che ci affliggono e si
scopra che hanno una funzione di bene. I poeti si può
ipotizzare che si chiedano a
questo punto della discussione, dopo aver fatto una disanima delle pecche
dell’umanità, che cosa sia questo principio di bene che comanda i finti
mali? Nell’incubo inizia la caccia a Domenica, l’inafferrabile capo
anarchico che fugge all’inseguimento lanciando foglietti con frasi
incomprensibili sia per i suoi inseguitori sia per noi. L’inafferrabile
Domenica, soprattutto quando viene svelato come l’arruolatore, sfugge
anche ad una nostra definizione potendo essere Dio, ma anche la Natura,
l’Ordine, il Padre, il Demiurgo, il Creatore, qualcosa comunque che vale
la pena di raggiungere. Intanto i due poeti
paladini della vicenda sottostante, che hanno concluso che ciò che opera
per il bene e ciò che opera per il male hanno una origine comune e
disputano sugli ultimi contrasti, che troviamo riaffiorare quasi
letteralmente nella parte finale dell’incubo: Gregory “Noi anarchici
siamo superiori perché soffriamo la solitudine di chi non ha una fede ed
una certezza sul mondo.” Syme: “Noi che amiamo l’ordine ne soffriamo
la mancanza maggiormente rispetto a chi ritiene il mondo dominio del
caos.” Qui, prima di
seguire la disputa che da cosmica è divenuta personale ci fermiamo un
attimo per preparare con due riferimenti il senso della soluzione. Il
primo riferimento da fare è all’inevitabile Libro di Giobbe, rispetto
al quale rimarchiamo che nel testo sacro Dio compare all’inizio e da
subito mette alla prova la fede di Giobbe, una fede che c’è già; nel
Giovedì al cospetto di Domenica (Dio o che altro) i nostri eroi giungono
alla fine dopo aver superato le prove ed aver rafforzato la fede. Anche
qui non si ha risposta, anche Domenica rimane indicibile, inconoscibile e
provvidente. Il secondo riferimento è a Borges (2) che ha parole chiare a
proposito di Dante e che toccano il punto della presenza del male nel
mondo. Dante dice Borges “Deve accettare il male nel mondo e allo stesso
tempo adorare quel Dio che non comprende”. Syme ha concluso la
sua ricerca, ha accettato l’ineffabilità del Principio creatore e
provvidente che opera anche attraverso la sofferenza umana, ma gli rimane
un ultimo dubbio che viene riportato ancora letteralmente nell’incubo.
Chiede infatti a Domenica (Dio o altro che sia) “Tu hai sofferto? O la
sofferenza è solo per noi uomini?” La risposta è
insicura, sia per pudore oppure sia per una conversione al cristianesimo
non ancora completata, Chesterton conclude l’incubo con un incerto
richiamo alla sofferenza di Cristo. Adesso l’incubo
è finito, la disputa è conclusa l’accordo è raggiunto: un ordine
regna anche sulle cose apparentemente più disordinate e, forse, Dio ha
sofferto come noi. I due poeti riconciliati possono chiacchierare
amichevolmente di un qualsiasi argomento e rivedere la ragazza con i
capelli rossi: la sorella di Gregory che avevamo incontrato nel
giardinetto di Saffron Park e che rappresenta il legame con la realtà
concreta, e forse quella ragazza che Chesterton aveva conosciuto a Bedford
Park. Se vogliamo dare
una conclusione, quella più corretta è forse quella che GKC stesso aveva
dato nella dedica del Giovedì fatta all’amico Bentley: “Abbiamo
trovato finalmente le cose comuni, e le nozze ed un credo, ed ora io posso
scriverne tranquillamente e tranquillamente puoi leggere tu.” Chissà se la
vicenda qui immaginata non sia stata in realtà una lunga disputa tra il
nostro e l’amico Bentley; ed eventualmente quale dei due sia adombrato
in Syme e quale in Gregory? O forse non erano
entrambi due aspetti in contrasto della personalità di GKC? In questo
caso si verrebbero a scontrare in Chesterton i due principi dell’ordine
e della libertà che possono avere una realizzazione completa soltanto nel
principio di creazione. Per tutta la vita in effetti Chesterton ha
sostenuto non solo la compatibilità tra i due principi ma che l’uno
potenzia l’altro, che cioè solo nell’ordine è possibile la vera
libertà. L’interesse per
la dottrina sociale della Chiesa, ad esempio, sorge dalla constatazione
che l’ordine che GKC osserva nella società del suo tempo, in realtà è
un disordine coperto da finzioni come i diritti civili, la libertà
economica, una finta tradizione che risale ad eventi illegittimi derivanti
dalla Riforma ecc. In questa prospettiva si comprendono racconti meglio
riusciti da un punto di vista letterario come ”L’Osteria Volante” ed
altri meno riusciti come “Il Ritorno di don Chisciotte”. Si potrebbe a
questo punto pensare di rivedere tutta l’opera di GKC alla luce di
questo contrasto ed alla necessità di comporlo.
2 J. L. Borges
“Nove Saggi Danteschi”, Adelphi, Milano, 2001, pag. 130 |