I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi          S. Tommaso

Tommaso visto da GKC

Roberto Prisco

A proposito di San Francesco possiamo dire che, essendo nato borghese, la sua critica della società borghese fu generata da una parte dalla conoscenza diretta che ne aveva e dall’altra fu un frutto della conversione seguita ai suoi due insuccessi come cavaliere e come commerciante.

Per San Tommaso d’Aquino, invece, per la carenza di informazioni, non riusciamo ad individuare in quali circostanze maturò la scelta di vivere non più nel castello od eventualmente nel monastero ma nei conventi cittadini dell’ordine mendicante dei frati predicatori.

 

§1 Nascita e Formazione

Consideriamo anzitutto ed incidentalmente che GKC commise l’errore generalmente condiviso di assegnare alla famiglia degli Aquino un’importanza e dei collegamenti familiari più elevati di quelli storicamente riscontrabili (vedi Wei pag. 10 e segg); si trattava comunque di una famiglia aristocratica proprietaria di fondi e di castelli. La famiglia di Tommaso, quindi, non condivise la sua decisione di entrare in un ordine mendicante, ma premeva per destinarlo al monastero di Montecassino, non distante da casa e del quale sarebbe quasi certamente divenuto abate.

Da queste preferenze non dovevano essere estranee considerazioni di opportunità, in quanto per gli Aquino era sicuramente più conveniente confrontarsi con un abate membro della famiglia piuttosto che con un estraneo. Ricordiamo che le controversie territoriali con l’Abbazia erano all’ordine del giorno; per esempio la famosa frase “sao ko kelle terre ...” era la trascrizione a verbale fatta nel 960 di una testimonianza relativa ad una disputa su terreni contesi tra il monastero di Montecassino ed un feudatario confinante della famiglia degli Aquino. Non solo, il castello di Roccasecca, luogo natale di Tommaso, era stato sottratto manu militari dai suoi antenati proprio a quel monastero.

 

L’appartenenza ad un ordine mendicante centrato sulle città universitarie risultò quindi incomprensibile alla famiglia sia dal punto di vista delle convenienze sia da quello delle logiche sociali. Inoltre Tommaso aveva ricevuto la sua prima formazione culturale e spirituale tra i cinque ed i quindici anni proprio in quella abbazia dove era stato oblato dalla famiglia.

Poi però proseguì la sua formazione nello studio generale di Napoli dove entrò in contatto con le opere di Aristotele, che vi erano studiate ad imitazione di quanto avveniva nella corte di Federico II (vedi Wei pag. 19 e segg). In quegli anni conobbe i frati domenicani che vivevano di elemosine e svolgevano una intensa attività di predicazione. Affascinato da questo ordine di recente costituzione entrò a farne parte (pare nel 1244) all’età di circa venti anni.

 

§2 Tommaso domenicano

 

Tutto quindi avrebbe lasciato prevedere che il giovane Tommaso sarebbe entrato a far parte dell’ordine di San Benedetto. L’ordine dei predicatori al contrario è ben credibile che risultasse sospetto al mondo feudale in quanto sganciato dalla proprietà terriera e la famiglia di Tommaso cercò di fargli cambiare idea imprigionandolo in una torre del castello. Avvenimenti di forte rilevanza politica indebolirono però la famiglia degli Aquino che, avendo altri problemi da risolvere, lasciò libero il giovane frate di seguire la sua vocazione.

Nella vita di Tommaso assistiamo così al passaggio dalla società feudale a quella borghese, dall’abbazia al convento, dall’ordine benedettino a quello domenicano, dall’istruzione monastica a quella universitaria, dal castello alla città.

Tommaso, ancor più di Francesco, si trovò quindi a vivere questa complessa transizione. Seguiamo quindi come il borghese Gilbert leggeva l’attività filosofica del nobile Tommaso d’Aquino.

Non sappiamo dicevamo all’inizio in base a quali ragioni il giovane Tommaso avesse scelto l’ordine mendicante invece di quello monastico; non era certamente una persona fisicamente attiva pronta a seguire l’impulso come era Francesco, ci si aspetterebbe quindi che il “bue muto” avrebbe scelto la vita tranquilla dell’abate a quella del docente peregrino per le vie d’Europa. Comunque fu così e partecipò alla stessa missione del vivace Francesco di correggere la sua epoca.

Chesterton attribuisce ad entrambi il merito di aver salvato il cristianesimo dallo spiritualismo (CheT pagg. 27,35 e 37). Nel tempo in cui Tommaso era giovane Aristotele era ancora accantonato dall’Università di Parigi ma al contrario era studiato in quella di Napoli, dove Tommaso apprese i primi rudimenti della filosofia (Wei pag. 21).

Lo spirito borghese è sempre in oscillazione tra la venerazione del progetto che modifica le cose e quella degli oggetti che impiega nella propria attività; in questa polarità Tommaso propende per la seconda avendo esaltato l’aspetto concreto della realtà (CheT pag. 27).

La scelta aristotelica porta conseguenze notevoli anche nella visione della vita pubblica, infatti, il platonismo con la sua struttura deduttiva indurrebbe piuttosto ad una struttura feudale ed imperiale; al contrario l’aristotelismo con la valorizzazione dell’oggetto in sé facilita l’accettazione di una società nella quale il consenso non dipende dalla gerarchia dei poteri ma sale dalle singole persone alle corporazioni ed al Comune visto come una aggregazione di persone libere. Questa è la società genuinamente borghese che fonda la democrazia.

La priorità data all’oggetto reale porta comunque il pericolo della caduta nel materialismo. Tommaso con le cinque vie affermò che conoscere razionalmente gli oggetti reali porta necessariamente ad affermare l’esistenza di Dio e l’argomentazione porta di per sé a riconoscere le cose reali come create (CheT pag. 93).

Un’altra tentazione per il borghese viene dall’esercitare vantaggiosamente la trasformazione degli oggetti. In questa attività rischia di ritenere che il divenire sia più importante dell’essere. Tommaso dimostrò, partendo dal fatto che le trasformazioni ci sono realmente e non sono illusioni, che sono garantite proprio da Dio (CheT pag. 142)

 

§3 Conclusione

 

La grandezza del cristianesimo ricorda Chesterton è costituita dalla sua capacità di tenere razionalmente coerenti “due passioni manifestamente opposte ma non incompatibili” (CheO pagg. 107,108).

Chesterton applicò questo principio nel leggere San Tommaso il quale non media tra le due tendenze di considerare la realtà da una parte come originaria per la conoscenza umana e dall’altra di vederla nell’essere come prodotto dell’atto creatore di Dio.

Questo Chesterton aveva visto sia in Francesco sia in Tommaso che corrèssero la loro epoca, non la dichiararono opera del Demonio ma curarono di darle una prospettiva cristiana, Francesco nell’ambito dell’agire, Tommaso in quello del pensiero.

 

BIBLIOGRAFIA

 

-  Gilbert K. Chesterton “Francesco d’Assisi” Guida Editore, Napoli, 1990 [CheF]

-  Gilbert K. Chesterton “Tommaso d’Aquino” Guida Editore, Napoli, 1992 [CheT]

-  Gilbert K. Chesterton “Ortodossia” Morcelliana, Brescia, 1926 [CheO]

-  James A. Weisheipl “Tommaso d’Aquino” Jaca Book, Milano 1994 [Wei]

 

 

POSTILLA

Considerazioni di maggior dettaglio a conferma dell’importanza del pensiero di Tommaso d’Aquino per la società borghese si trovano nel decimo capitolo di “False Testimonianze” di Rodney Stark (Lindau, Torino 2016). Si badi che in questi saggi è chiamato società borghese ciò che Stark definisce come capitalismo

 

 

COMMENTI

 

da Cesare Surano

 

Ho apprezzato e condiviso il tuo pensiero e il tuo scritto su Francesco visto da GKC. Ho invece qualche perplessità su Tommaso. Non tanto nelle conclusioni che ritengo azzeccatissime, quanto sul percorso del testo. È indubbio che Tommaso era un nobile che per ragioni a noi sconosciute ha fatto un percorso di vita in antitesi alla sua casta aristocratica, controcorrente ai voleri della famiglia. GKC lo evidenzia con chiarezza nel suo testo. Ma, a mio giudizio, Tommaso è andato ancora più in là. Non solo ha saputo conciliare la Fede con la Ragione, di ispirazione aristotelica, ma ha ragionato in termini Universali. È qui che mi distacco dal tuo testo. Tommaso non compie la sua rivoluzione entrando nel pensiero borghese, come era quasi logico e naturale avvenisse per Francesco, nato e cresciuto borghese, ma sviluppa e concretizza la sua filosofia nel mondo rivoluzionario della Universitas, dei Clerici Vagantes, della cultura che non conosce confini, nelle contraddizioni che caratterizzano l'intellettualità indipendente di quel tempo. Trovo analogie fra Tommaso e Marco Polo, contemporanei e spinti in modo diverso e in campi diversi, alla scoperta, al rifiuto del "politicamente corretto" dell'epoca, alla curiosità intellettuale. Diverso e pur grandissimo, è l'approccio di Dante, che pure è posteriore, che è saldamente poggiato sull'ortodossia feudale e la tradizione medioevale. Dante è rigido (vedi le Cantiche, i Gironi, i Personaggi in una poesia sublime) quanto Tommaso è elastico e innovativo, nello spirito dei Clerici Vagantes e della Goliardia (pensa ai Carmina Burana). Ma rimane sempre un aristocratico, un nobile e quindi rifiuta il pensiero anarchico e dispersivo di tanti Goliardi e fissa un percorso di regole e punti fermi che costituiscono la base della Filosofia Scolastica. Da qui, a mio giudizio, nasce la Summa Teologica eil perfetto equilibrio e la possibile integrazione fra Fede e Ragione. Così la interpreto io, può essere che sbagli: per te uno stimolo in più e una ulteriore riflessione (se ti vanno!).

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