I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi               che pensarne
 

 

Temi e risposte

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Roberto Marchesini chiede (8.9.12):

Nel racconto intitolato "Il segreto di padre Brown" l'investigatore espone il suo metodo. Poi lo definisce "esercizio religioso".
Non capisco perché. Perché
religioso?

Risponde Roberto Prisco (8.9.12):

mi sembra che il significato possa intendersi in relazione al principio cristiano secondo cui siamo tutti peccatori e quindi nulla del male, che è presente nel mondo, può essere ritenuto estraneo a ciascuno di noi. Padre Brown anche grazie alla pratica della confessione (dei peccati altrui) conosce le diverse forme del male meglio di noi laici che conosciamo soltanto il male che compiamo con le nostre azioni; i confessori, al contrario, conoscono anche i peccati che confidano loro tante altre persone.

E' per questo che pensare il male gli è possibile in modo più completo. E' per questo che può soltanto essere un prete cattolico a compiere l'esercizio religioso di immedesimarsi interamente nel male senza giungere a volerlo.

Religioso quindi potrebbe voler dire soltanto "esercizio dei contenuti della religione".

Riferimenti si trovano in quanto  GKC racconta nella sua "Autobiografia" a proposito dell'incontro con padre O'Connor che fu uno degli ispiratori del personaggio e nel finale de "La Croce Azzurra".

A margine possiamo anche qui riproporre il problema della traduzione. Infatti nella traduzione che possiedo della raccolta completa dei racconti di Padre Brown (Edizioni Paoline) non è scritto esercizio religioso, ma esercizio spirituale.  Questa traduzione appare incomprensibile ove si confronti con l'originale che suona inequivocabilmente religious exercise.


A proposito della traduzione aggiunge R.P. (14.9.12):
L'espressione esercizio spirituale  toglie determinazione all'altra traduzione spostando l'attenzione dalla condizione sacerdotale propria di Padre Brown ad uno spiritualismo  indefinito, del quale sappiamo bene (vedi ad esempio La Forma Non Giusta) quanto GKC diffidasse.


Gabriele Pasquali (18.9.12) ci fa il dono di una interpretazione che accetta la traduzione "paolina":

La mia interpretazione è proprio che si tratti di "esercizio spirituale" nel senso che gli attribuisce, per esempio, S.Ignazio di Loyola. Un tipico esercizio spirituale è quello di "calarsi" all'interno di un brano della Scrittura. Si immaginano il luogo ed i personaggi, ci si immedesima in uno  dei presenti e si fa l'"esercizio" di vedere quello che egli vede, sentire quello che egli sente,  provare quello che egli prova.

Facendo riferimento alla mia esperienza personale, una volta mi è capitato di dover leggere  e meditare la Passione secondo Matteo immedesimandomi in Giuda ed i frutti  per la mia vita spirituale sono stati notevoli. Mi sono reso conto di quanto  ho in comune con lui e questo è stato il punto di partenza della mia conversione.

Presupposto per questo tipo di esercizi è la capacità di "ascoltare" il proprio cuore, di  essere attenti a quanto vi accade e di cogliere le varie risonanze che nascono al  suo interno ("cuore" va intenso in senso biblico, come la sede della nostra interiorità  completa, affettiva, intellettiva etc, e non soltanto come sede dei sentimenti).  Leggendo quanto Padre Brown dice di sé, mi sembra che egli faccia qualcosa di molto  simile: si pone nella stessa situazione del colpevole (Ignazio la chiamerebbe "composizione  di tempo e di luogo") e si immedesima in lui immergendosi nella stessa situazione.   Per maggior chiarezza, ti segnalo alcuni punti degli esercizi di Ignazio in cui  si viene invitati a immaginarsi in una situazione e "viverla" completamente  (NB: non si tratta di un arido esercizio di logica (tipo "cosa farei se...") viene chiesto di calarsi  "esistenzialmente" nella situazione e solo *dopo* raccogliere i frutti di quello che si è vissuto)

Faccio riferimento a questo testo:

http://www.gesuiti.it/File/Pubblicazioni/TestiFondamentali/Esercizi.pdf

E segnalo in particolare il punto 74:  "Mi sforzerò di provare vergogna per i miei tanti peccati, proponendomi  qualche esempio, come quello di un cavaliere che si trova alla presenza del re e di tutta  la sua corte, pieno di vergogna e di umiliazione per averlo offeso gravemente, pur  avendo prima ricevuto da lui molti doni e molti favori. Così pure, nel secondo  esercizio mi immaginerò come un grande peccatore incatenato, sul punto di comparire,  stretto in catene, davanti al sommo ed eterno Giudice; mi proporrò l'esempio dei  carcerati che, incatenati e ormai degni di morte, compaiono davanti al giudice terreno.  Mi vestirò trattenendomi in questi o in altri pensieri, secondo l'argomento della  meditazione."

Oppure anche i punti 111-116, ad esempio quando dice:

" vedo le persone, cioè nostra Signora, san Giuseppe, la domestica e il bambino Gesù appena nato;  mi faccio come un piccolo e indegno servitorello guardandoli, contemplandoli e servendoli nelle loro necessità, come se mi trovassi lì presente, con tutto il rispetto e la riverenza possibili. Infine rifletterò su me stesso per ricavare qualche frutto."

R. P. risponde (18.9.12):

non nego la validità di tutto questo soltanto osservo che, se ho capito bene, il metodo ignaziano funziona a posteriori, dopo cioè che si è scoperto il colpevole (ad esempio Giuda). Il metodo di Padre Brown invece deve funzionare prima ed avere non come ipotesi ma come scopo l’individuazione del colpevole.

 

G. P. ribatte (18.9.12):

E’ vero, Padre Brown ha un compito più difficile, perché non sa a priori in quale  personaggio immedesimarsi. Egli però  ha pur sempre un numero limitato di indiziati fra cui scegliere, e può ripetere  l'esercizio per ognuno, escludendo quelli che non avrebbero potuto trovarsi nelle  stesse condizioni spirituali dell'assassino." 

Mi viene in mente ad esempio "The mirror of the Magistrate" dove esclude che l'assassino  possa essere il poeta: padre Brown riesce a calarsi perfettamente nello stato d'animo del  poeta e capisce perché il poeta si è rintanato in cima ad una scala che finisce nel vuoto:  proprio perché sul suo animo poetico una scala del genere esercita un fascino irresistibile.  Il poeta non era nello stato d'animo di commettere un assassinio. Un magistrato e rivale,  invece...  Calandosi nei panni del magistrato, risulta anche chiaro perché l'assassino ha sparato  allo specchio...in fondo assassino e assassinato si somigliavano molto!

 

Ringrazio Fabio Trevisan che puntualizza il senso degli esercizi  ignaziani e ci scrive (20.9.12):

L'immedesimarsi non è un esercizio a posteriori ma parte dalla  constatazione del peccato originale e che quindi siamo tutti peccatori.

S. Ignazio nel renderci presente la realtà del male desiderava che noi ne  avessimo una concreta percezione con i sensi, con l'intelletto e con  tutte le facoltà dell'anima. In ragione di questo bisogna, nel fare  discernimento degli spiriti dentro di sé, considerare la custodia del  proprio cuore (soprattutto con la volontà retta) contro le tentazioni.

Per questo P. Brown afferma che è in tutto per tutto colpevole tranne  che nella volontà (di compiere il male). Ciascuna persona è  potenzialmente colpevole e ponendo distanza tra persona e persona (come  il caso del religioso nel "Martello di Dio") si possono compiere i  crimini più feroci. Non è forse questo un atto di superbia, il credersi  superiore al crimine ed alla persona che commette i crimini?


R.P. aggiunge(20.9.12):

Siamo proprio sicuri che questo esercizio religioso sia soltanto  relativo ai peccati e non anche alla carità o alla redenzione? Il  cristianesimo e con esso Padre Brown non si fermano al peccato. In che  modo la possibilità della salvezza può aiutare a scoprire il colpevole?


F.T. aggiunge(20.9.12):

Oltre al segreto di P.Brown bisogna leggere "Il segreto di Flambeau" che chiude i racconti riprendendo la parte iniziale. Lì Flambeau racconta di essere stato peccatore, di aver riconosciuto i suoi peccati e di aver trovato in P. Brown la possibilità di redenzione (attraverso la Confessione citata negli "Strani passi"), Non solo, Flambeau riprende gli attacchi che P. Brown ha rivolto allo scientismo (definito disumano). Sappiamo inoltre che P. Brown era corso negli "Strani passi" a confessare un povero cameriere italiano; non solo, a più riprese P. Brown fa intravedere  l'importanza della Confessione nel comprendere i segreti nascosti dell'uomo (e quindi utile a svelare i delitti). Confessare il peccato, riconoscerlo (vedi critica  in "Eugenetica e altri mali" - L'impotenza dell'impenitenza) è indispensabile per la salvezza dell'anima. Nel caso di Flambeau è evidente. Nello scientista razionalista Aristide Valentin (troppo superbo per la confessione dei  peccati) si arriva al suicidio. Il quadro in cui comprendere il segreto di P. Brown  (1927) è successivo alla condanna eugenetica ed agli altri mali del 1922. La critica di P. Brown va inquadrata nel clima scientista, evoluzionista incapace di vedere l'uomo e la sua possibilità di redenzione. P. Brown svela le atrocità di certo pensiero scientista ed anche falsamente religioso.

R.P. conclude (22.9.12):

L'esercizio religioso dipende quindi dalla pratica della confessione che può essere potenziata dalla frequenza agli esercizi ignaziani. Teniamo presente che questi ultimi sono a disposizione non solo dei preti ma anche dei laici.

Maria Grazia Gotti riapre (2.10.12)

Quante volte di fronte a un delitto ci è capitato di pensare, in riferimento al colpevole: "io lo metterei in prigione e butterei via la chiave!"

Io confesso che a me succede: ogni volta che trovo un delitto talmente orribile che rifiuto di riconoscere di avere qualcosa in comune con chi lo ha commesso. 

Ma a volte un reato, un peccato, può essere (anche) un grido di aiuto, e immedesimarsi nel peccatore fino ad essere in tutto come lui tranne che nella volontà di passare all'azione, di commettere realmente il peccato, provando gli stessi sentimenti e le stesse frustrazioni, può permettere al sacerdote di ascoltare quel grido e aiutare veramente il peccatore a redimersi (e in effetti a Padre Brown più che assicurare il colpevole alla giustizia interessa salvare la sua anima). Dimostrandogli di aver ascoltato e capito le domande che quello non sapeva nemmeno di avere. E questo vale non solo per i delitti.

In proposito, esemplari sono le parole dell'ex-ladro Flambeau che descrive la sua "capitolazione" di fronte a Padre Brown: "Io rubai per vent’anni con queste mie mani; io sfuggii alla polizia con questi miei piedi. … Forse che io non ho udito i sermoni dei virtuosi e veduto il freddo sguardo delle persone rispettabili? Forse che non mi venne detto che nessuna persona per bene avrebbe potuto sognare una simile depravazione? Fu solo il mio amico Padre Brown a dirmi che egli conosceva perfettamente perché io rubassi. E da quel giorno non rubai più».

Sull'importanza cruciale della confessione per Chesterton mi piace ricordare la sua affermazione di aver aderito al cattolicesimo "[...] per liberarmi dai miei peccati. Perché non v'è nessun altro sistema religioso che dichiari veramente di liberare la gente dai peccati. [...] Ho trovato soltanto una religione che osasse scendere con me nella profondità di me stesso".

Su questi temi rilancerei perché è molto bella questa riflessione di Fabio Trevisan, pubblicata sul blog poco meno di un anno fa - dalla quale ho "rubato" le parole di Flambeau, visto che già le aveva scritte

 

R.P. (stesse un po’ zitto) provoca (2.10.12):

Se a quanto pare buttare via la chiave non è lecito, quali sarebbero le punizioni laicamente lecite? (Vedi la pagina giallisti di questo sito  contiene anche i contributi di Fabio Trevisan).



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