I Giovedì - gruppi chestertoniani veronesi lettere | |
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Lettere ad un vecchio garibaldino | |
MIO CARO AMICO,
Da gran tempo non ci siamo incontrati e temo che queste lettere non ti giungano mai; ma, in cotesti tempi di violenza, mi ritorna alla mente con istrana vivacità il ricordo di come tu blandissi il pennello intorno alla tavolozza quando ero un fanciullo, e come fossi corso da un brivido di commozione al pensiero che tu avevi così brandita una baionetta contro i Teutoni, e spero con altrettanta precisione e con risultati altrettanto felici. Intorno a quel tempo gli stessi colori sembravano aver una qualche pittoresca connessione con la storia della tua nazione: pareva ci fosse qualcosa di lussureggiante e di terribile nel rosso veneziano e qualcosa di assolutamente catastrofico nella terra di Siena. E, non saprei dir come, quando vidi ieri per via i colori della tua patria bandiera, mi risovvenne dei colori della tua paletta. Non temere che io tenti di involgere tè o i tuoi concittadini in questioni che spetta soltanto agli Italiani di decidere; tu conosci certo assai meglio di me i pericoli dell'una e dell'altra via; ed è certissimo che l'Italia non ha bisogno di dar prove del suo coraggio. Con il tenersi da parte essa è incorsa in tutti i rischi che essa avrebbe potuto correre intervenendo: i proclami tedeschi e la stampa tedesca dimostrano ad esuberanza che in Germania si è giunti ad una condizione di sensibilità tanto acuta da potersi appena distinguere dalla follia; e, nell'incubo ipotetico di una vittoria prussiana, i Tedeschi si vendicheranno di cose anche più remote della Triplice. C'era un impegno di pace tra essi ed il Belgio; non ce n'era nessuno tra essi e l'Inghilterra; ebbene, violarono la promessa data al Belgio; inventarono una promessa dell'Inghilterra e la chiamarono il "trattato del teutonismo." Nessuno ne ha mai sentito parlare nel nostro paese, ma sembra ben noto nei circoli accademici della Germania. Pare che sia cosa in qualche modo connessa con il colore dei capelli. Ma ripeto che non ho intenzione d'immischiarmi nelle vostre decisioni se non in quanto mi riesca di porre innanzi a tè materia di riflessione, descrivendoti come noi ci siamo decisi. Infatti io penso che il contributo principale, forse l'unico, che un Inglese possa apportare alla formazione dell'opinione pubblica straniera stia nel discorrere di ciò che egli veramente conosce, la condizione dell'opinione pubblica britannica. Questa è altrettanto semplice quanto è salda; forse per la prima volta ciò che chiamiamo Regno Unito merita tal nome; non mai a memoria degli Inglesi viventi c'è stata tanta unanimità. Gli Irlandesi e anche i Gallesi erano in gran parte favorevoli ai Boeri; lo erano anche alcuni dei più inglesi fra gli Inglesi. Nessun uomo sarebbe potuto essere più inglese del Fox, eppure egli disapprovò la guerra contro Napoleone; nessuno sarebbe potuto essere più inglese del Cobden, eppure egli disapprovò la guerra di Crimea. E' davvero straordinaria cosa il trovare un'Inghilterra unita; e davvero, prima di questi ultimi tempi, era cosa straordinaria il trovare un Inglese d'accordo con se stesso. Quelli di noi, che come me, ripudiarono fin dall'inizio la guerra sud-africana, si sentirono in quei tempi combattuti tra due pensieri; considerarono taluni aspetti di quella guerra al tempo stesso gloriosi ed infami. Posso ora per prima cosa sottoporre alla tua attenzione questo fatto indiscutibile, che ogni simile dubbiezza e ogni divisione sono cessate. Né cessarono in causa d'alcun compromesso, ma in causa di un lampo universale di fede, o, se vuoi, di sospetto. Non fecimo tacere i nostri conflitti inferiori leggermente; ne fu facile la nostra riconciliazione. Come tè io sono democratico, e mi sento cittadino d'Europa; avevo con i miei amici appreso ad abborrire la plutocrazia e i privilegi, che stavano al sommo delle cose nel mio paese, con un abborrimento, che non credevo potesse esser vinto da nessun amore. Non parlerò qui di cotesti ricchi, concedimi che non vi pensi. La guerra è in ogni caso terribile e, per certi uomini dal temperamento intellettuale, cotesta è la parte più terribile di essa: che la guerra rapisca la gioventù, che separi gli amanti, che per tutta Europa sposi si distacchino alla porta della chiesa, tutto ciò è cosa ordinaria per ordinari individui. Il sacrificare il proprio amore al proprio paese è grande; ma il sacrificare al paese il proprio odio anch'esso può contenere in sé elementi d'orgoglio e di purificazione. Che cosa ha spinto gli Inglesi a differire così non pure la loro mostra artificiosa di programmi partigiani, ma anche le loro doglianze sociali e morali e le loro domande? che cosa ci ha tutti uniti contro i Prussiani come contro un cane rabbioso? La presenza di un certo spirito, facile a scoprirsi quanto un odore acre, che indoviniamo capace di fare intristire tutte le cose buone di cotesto mondo. Lo scassinamento del Belgio, lo sbruffo offerto per il tradimento della Francia non sono giustificazioni, sono fatti; ma sono soltanto quei fatti che servirono a rivelarci la presenza di quel tale spirito, e non bastano a definire da soli quello spirito stesso. Esso potrebbe cosi all'ingrosso esser detto lo spirito di barbaria, ma in realtà è qualcosa di peggio: è lo spirito di una civiltà di second'ordine; e tale distinzione importa differenze gravissime. Ammesso che potesse sussistere, la barbaria pura non potrebbe durare a lungo, proprio come la pura infanzia non può a lungo durare. Per sua stessa natura il bimbo è attratto dal battere dell'orologio, e viene il giorno in cui gli si deve dire l'ora, anche se gli si abbia a dire soltanto un'ora sbagliata. Ciò appunto fa la civiltà di second'ordine. Ma il punto essenziale è cotesto: un barbaro astratto imiterebbe altrui; una civiltà incompiuta e rozza si erige sempre a modello. Nel nostro caso il Tedesco crede suo ufficio non pure di diffondere l'istruzione, ma di diffondere l'istruzione obbligatoria. "La scienza combinata con l'organizzazione, dice il professor Ostwald dell'ateneo berlinese, ci rende terribili ai nostri oppositori e garantisce all'Europa un avvenire tedesco." Ecco in brevissimi termini ciò per cui combattiamo; combattiamo per salvare l'Europa da un avvenire tedesco; crediamo che esso sarebbe più ristretto, più spiacente, meno saggio, meno capace di libertà e di riso di qualunque peggiore periodo del passato in Europa. E, quando mi sono guardato d'attorno, per trovare una forma che in breve esprimesse perché pensiamo cosi, la mia mente si volse a tè; perché cotesto è soggetto cosi vasto che non saprei come esprimerlo se non nei termini che userebbe un artista come tu sei, a servizio della bellezza della fede e della libertà. In ogni caso la Prussia non potrebbe prestarmi aiuto; credo che Lord Palmerston la chiamasse un paese di dannati professori; egli usò temo assai, la parola "dannato" con una certa qual leggerezza; io l'uso con reverenza. Roma, anche ne' suoi periodi di maggior debolezza, può esser rassembrata a un fiume che scorre, s'allarga e irriga molti campi. Berlino, anche nei periodi di maggiore possanza, non sarà mai che un vortice, che tende al suo stesso centro, e viene inghiottito; non potrebbe che restringere la visione intellettuale del resto d'Europa come ha già ristretta quella del resto della Germania. C'è uno spirito di morboso egoismo, che alla fine fa rivolgere tutte le cose nel cervello su una punta di spillo; è uno spirito che vien designato più spesso nel linguaggio familiare che in quello letterario; gli Inglesi lo chiamano "fad," gli Italiani lo direbbero forse una comica fissazione, i Prussiani lo dicono filosofia. Ti dirò una delle riflessioni che mi hanno fatto pensare a tè. Quale sarebbe il tuo primo pensiero, se io nominassi, poniamo, Michelangelo? Forse al primo momento un pensiero di noia, come avviene a me, quando gli Americani mi parlano di Stratford-on-Avon. Ma supposto che quel primo giusto timore si acquietasse, tu sentiresti quello che io ed ogni altro sentiremmo. Sarà il senso delle mani maestose dell'uomo girante la chiave dell'ultimo serrame della vita; mani grandi e terribili come quelle del giovine che palleggia la pietra al di sopra di Firenze, e gira lo sguardo sulla cerchia dei colli; sarà quel vasto sollevamento del fianco del petto e della gola nello schiavo, che sembra un terremoto sollevante tutto un paesaggio; sarà quella tremenda Madonna, dalla carità più forte della morte. In ogni caso i tuoi pensieri sarebbero degni del paganismo terribile di quel grande e del suo anche più terribile cristianesimo. Chi, se non Dio poté scolpire Michelangelo, che tanto si avvicinò a veramente scolpire la Madre di Dio? La cultura Teutonica tratta il soggetto nel modo seguente: Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Bernardo, capostipite della famiglia visse a Firenze circa il 1210. Ebbe due figli Berlinghieri e Buonarrota. Da cotesto nome, che ricorre di frequente nelle generazioni posteriori, la famiglia venne ad esser chiamata. È un nome teutonico composto di Bona-(Bohn)-e Hrodo, -Roto-(Rohde Rothe); Bona e Rotto si trovano come nomi langobardi; Buonarroti è forse l'antico langobardo Beonrad che risponde alla parola Bonroth. Nomi dello stesso genere sono Mackrodt, Osterroth, Leonard " Ecosi via e così via. "Ebbe il volto sempre ben colorito . . . gli occhi si potrebbero dire piccoli piuttosto che grandi, di color del corno, ma cangianti per macchiette gialle e azzurre. Capelli e barba neri. Cotesti particolari sono confermati dai ritratti. Si veda prima e sopratutto il ritratto del Bugiardini nel museo Buonarroti; dove appare l'aspetto maculato dell'iride, specialmente nell'occhio destro; il sinistro si potrebbe dire quasi interamente azzurro." E così via e così via. "Nel museo Civico di Pavia c'è un affresco di mano ignota, che lo ritrae, in cui si rileva il vivace colorito rosso della faccia. Tenuto conto di tutte coteste caratteristiche somatiche, convien dire da un punto di vista antropologico che, quantunque originariamente di famiglia germanica, egli fu un ibrido del tipo bruno del Nord con quello occidentale." Ti sforzeresti di provare con altrettanta diligenza che Michelangelo era italiano, quanta impiega costui a dimostrare che era tedesco? Per certo no. L'unica impressione che costui (un autorevole storico prussiano) produce sulla mia mente o sulla tua si è che non gliene importa un fico di Michelangelo. Perché tu, essendo italiano, sei qualcosa più di un Italiano, ed io, essendo inglese sono qualcosa più di un Inglese. Ma cotesto povero diavolo non può essere nulla più che un Prussiano. Egli scava e scava per scoprire dei morti prussiani nelle catacombe di Roma, come sotto le rovine di Troia. Se gli riesca di trovare un occhio azzurro gettato in qualche angolo, si tiene soddisfatto. Egli non ha una filosofia, ha una mania, quella di far raccolta di Tedeschi. Sarebbe probabilmente inutile per tè e per me di far osservare che, con quella sorte di ingegnosità che trova il tedesco "rothe" in Buonarroti, potremmo dimostrare qualunque cosa. Potremmo allegramente spassarcela nel togliere alla Germania, con quel metodo, tutti i suoi geni. Potremmo dire che il Moltke deve esser stato un Italiano per via dell'antica radice latina mol- che indica la dolce disposizione di quel generale. Potremmo dire che il Bismarck era un Francese, poiché il suo nome comincia dal popolarissimo grido da.teatro: "bis!" Potremmo dire che il Goethe era inglese perché il suo nome comincia con il popolare grido sportivo di "go!" Ma la differenza decisiva tra noi e il professore prussiano è che noi non siamo pazzi. Il padre di Federico il Grande, il capostipite dei più moderni Hohenzollern, era pazzo. La sua mania consisteva nel rapir giganti come uno zingaro senza scrupoli. Qualunque uomo si avvicinasse ai due metri di altezza, fosse egli noto come il gigante russo, il gigante irlandese, il gigante cinese o il gigante ottentotto, correva rischio di essere rapito e imprigionato in una divisa prussiana. La stessa meschina mania sembra affliggere i professori del tipo di quello che ho citato; non sanno andar oltre l'idea di rubar giganti. Non ti annoierò ricordandoti tutti gli altri giganti, che quei signori hanno tentato di rapire; basti che S. Paolo, Leonardo da Vinci e lo stesso Shakespeare vanno annoverati tra le mostruosità che si esibiscono nel baraccone di Federico-Guglielmo, in base ad argomenti validi quanto quello più sopra citato. Ma quel caso particolare ti ho esposto, piuttosto perché sei artista, che perché tu sia italiano, per mostrarti ciò che intendo, quando mi oppongo a "un futuro tedesco per l'Europa." Mi oppongo a cosa che ha gran fiducia in se stessa, e in cui io non ho nessuna fiducia; mi oppongo a cosa vanitosa e di scarsa mentalità, ma che ha pure quella specie di pertinacia, che sempre si trova nei maniaci. Gente di cotesta fatta vuol compiacersi per il genio di Michelangelo con se stessa, mai vorrebbe compiacersene con il mondo. Siamo al procedimento logico di colui che divien calvo cercando di ricostruirsi un albero genealogico, o di colui che fallisce sforzandosi di stabilire un suo lontanissimo diritto ereditario. Il Prussiano ha l'incoerenza del parvenu: faticherà a provare la sua parentela con qualche gentiluomo del Rinascimento, pur mentre si vanta di poterlo comperare." Se gli Italiani furono davvero grandi, bene, allora erano in realtà Tedeschi, e, se non erano proprio Tedeschi, allora non furono davvero grandi. È un'occupazione cotesta da vecchia zitella. Tré o quattrocento anni or sono, durante il silenzio che era seguito al relativo insuccesso del nobile sforzo dell'evo medio, l'Europa fu corsa da una procella che veniva dal Sud; fu un rombo di molte lingue; lo sentiamo nel riso di Rabelais, o, se si voglia, nelle liriche dello Shakespeare; ma il centro più possente della perturbazione fu davvero più australe e più vulcanico; culmina in un battito di grandi ali tempestose e nel nome di Michele arcangelo. E quando ebbe scosso e purificato il mondo, un professore prussiano trovò una penna che era caduta a terra, e dimostrò (in parecchi volumi) che essa non poteva essersi distaccata che dall'ala di un' aquila prussiana; ne aveva vista una in gabbia. II sempre tuo G. K. CHESTERTON.
CARO AMICO, Le questioni che l'Europa deve oggi affrontare sono così fondamentali che ancora mi riesce più facile di discorrerne con tè, che mi sei vecchio amico, che non di scriverne in un opuscolo. Nella mia ultima lettera ricordai due fatti che sono cardinali: il primo che ad una persona davvero colta la Prussia appare di seconda qualità; il secondo che a quasi tutti i Prussiani essa sembra davvero di primissima qualità, e atta a governare, o letteralmente a farsi poliziotta del mondo. Per quanto concerne il primo punto la relativa inferiorità della cultura tedesca non è dubbia ad uomini come tè. Uno dei giornali tedeschi ha detto pateticamente che, quantunque la distruzione di Malines e di Reims sia assai incresciosa, ci si poteva confortare pensando, che anche più nobili opere d'arte sbocceranno dovunque la civiltà teutonica è passata in trionfo; è nell'ironia delle cose, ed è davvero piuttosto triste che non sbocceranno mai. Il concetto che l'imperatore germanico si è fatto di una cattedrale gotica eccita la nostra imaginazione non meno del concetto che don Abbondio si era fatto di Carneade. Ma credo sia davvero probabile che essi intendessero di costrurre edifici quanto più era a loro possibile belli; poiché non rifuggirono dal sacrilegio della distruzione di tali cose, potrebbero benissimo non rifuggire dal sacrilegio di rimpiazzarle. Anche se il tentativo prussiano contro Parigi non fosse miseramente fallito, come è, dubito che i Prussiani avrebbero tutto distrutto; dubito persino se avrebbero distrutta la Venere di Milo; più probabilmente vi avrebbero appiccicato un paio di braccia modellate da qualche artista germanico di belle speranze, l'imperatore o qualche altro. E le due braccia così aggiunte ci avrebbero senz'altro richiamate alla mente le braccia di una donnaccola diguazzanti nella tinozza del bucato. I diroccatori del campanile di Reims sono capacissimi di gettare in rovina il campanile di Giotto, ma sono altrettanto capaci del maggiore delitto di completarlo; e, se essi vi sovrapponessero una guglia, che guglia esso avrebbe! che spegnitoio per quel chiaro e quasi trasparente candelabro cristiano! Hai mai letta alcuna delle spiegazioni teutoniche dell'Amleto? ti ho già detto che i capelli di Leonardo debbono essere stati capelli tedeschi, perché tanti suoi contemporanei li dissero belli? Ciò intendo di esprimere dicendo che i Prussiani sono di seconda qualità. Tutta l'agitazione tedesca per le colonie inglesi non è che il segno di una scema comprensione di quanto, un tempo, fu eroico, ed è ora per lo più canagliesco. Le visioni navali dell'imperatore non sono che una mala copia di quelle del Nelson, come per certo i versi di Federico il Grande furono male copie di quelli del Voltaire. Ma il secondo punto era anche più rilevante: quanto la cosa è debole intellettualmente, altrettanto materialmente è forte, e ci si imporrà con la forza, se noi lo permettiamo. I Prussiani fallirono in ogni altra cosa, ma non hanno fallito nell'ottenere, che le migliaia a loro suddite ubbidiscano al comando, non possono erigere torri bianco e nere in Firenze, ma possono davvero piantare dei pali bianco e neri in Alsazia. Fallirono pure nel campo diplomatico, poiché imagino possa dirsi un insuccesso diplomatico l'entrare in lotta con due nemici di più e un alleato di meno. Se i Tedeschi, invece di mandar spie a studiare il terreno del Belgio, avessero mandate spie a indagare l'anima belga, si sarebbero risparmiata una dura bisogna per una o due settimane. E fallirono nella discussione, poiché imagino possa dirsi un insuccesso di dibattito l'affermare, che l'Inghilterra può mantenere la sua parola per un qualche scopo malvagio, mentre la Germania può violarla per un qualche nobile fine; e in fondo ciò è quanto i Tedeschi ci sanno dire. Affermano che noi siamo una potenza insaziabile senza scrupoli brigantesca; e questa tendenza selvaggia ci precipitò nel folle procedimento di rispettare un trattato, che avevamo firmato. Non sanno scoprire in noi altro tradimento se non quello di osservare i trattati, e tale insuccesso io chiamo un insuccesso nel dibattito. Fallirono in fine nel tentativo di persuadere l'opinione pubblica. Avevano una buona occasione: l'impero britannico contiene per certo molti popoli che furono in diversi modi maltrattati: gli Irlandesi, i Boeri, e sia pure, gli Americani stessi, di cui l'esistenza nazionale ebbe inizio dall'essere maltrattati. Presso tutti costoro i Prussiani hanno fatto relativamente poco progresso, e presso Europei del tuo stampo non ne hanno fatto nessuno. Non hanno mai davvero compreso e diviso il sentimento di uno Svizzero per la Svizzera, di un Norvegese per la Norvegia, di un Toscano per la Toscana; anche quando si tratta di nazioni neutre, la Prussia può appena tollerare che siano patriottiche; anche quando essa corteggia tutti gli altri, non sa lodare che se stessa. Fallisce dunque nel campo diplomatico, in quello della controversia, e fallisce anche nella demagogia. I Prussiani ci danno stupidi intrighi, stupide spiegazioni e persino stupide giustificazioni; ma c'è una cosa in cui davvero non falliscono: non mancano di trovare gente abbastanza stupida da condurre a termine i loro intrighi. Questa è ora la questione che vorrei tu prendessi in esame, tu che sei un buon tipo medio di Latino, liberale e cattolico, artista e soldato: il pericolo che tutta la civiltà, di cui Roma fu la radice, corre, consiste in ciò che, quanto più cotesti strani popoli di Prussia falliranno in tutte le altre cose, tanto più faranno ricorso a cotesto fatto di una bruta obbedienza. Daranno ordini; altro non hanno da dare. E io affermo che questa è una questione per tè; ma non dico, ne mi sogno di dire che sta a me di rispondervi. Sta a voi invece di misurare la probabilità, che appunto il loro insuccesso nelle arti della pace li risospinga alle arti della guerra. Nell'arte diplomatica non potevano ingannare e non ingannarono il tuo popolo; fecero l'atto più contrario alla diplomazia che si possa commettere; nascosero una infrazione del patto sociale senza neppure nascondere il loro infingimento. Istigarono così l'Austria ali' intrigo, che l'Italia poté onestamente pretendere ogni libertà, per l'ignoranza passata che si aggiungeva alla delusione dell'informazione presente; amministrarono così la Triplice, che non poterono non riconoscere la giustezza dei vostri lamenti proprio quando domandavano il vostro aiuto. Gli Inglesi sono più stupidi e meno sensitivi che voi non siate; ma anche gli Inglesi trovarono la diplomazia del Cancelliere germanico non insinuante, ma insultante. Giuro che sarei io stesso un più avveduto diplomatico. Allo stesso modo non c'è pericolo che gente del vostro stampo possa venir corrotta dalla discussione; non c'è pericolo che i professori, i quali pullulano in tutta la pianura baltica, possano vincere i Latini di logica. Alcuni dei Tedeschi pretendono persino di essere super-logici e affermano di essere troppo grandi per un sillogismo, di solito perché hanno trovato un sillogismo cosa troppo grande per loro. Se si dolgono o della vostra astensione dalla loro causa o della vostra adesione ad un' altra, voi avete una risposta decisiva; direte, come avete detto, che non violaste la Triplice neppure per il bene della pace; essi furono che la violarono a vantaggio della guerra. È ovvio che voi avevate altrettanto diritto di esser consultati in riguardo alla Serbia, quanto ne aveva l'Austria; sulla semplice scacchiera della discussione è uno scacco di rè in una mossa. Ne essi sono in alcun modo atti a muovere un appello al sentimento popolare del vostro popolo. Concedo che gli Inglesi e i Francesi abbiano detto un mondo di sciocchezze a vostro riguardo, ma vi capiscono un poco meglio; costoro non scrivono precisamente come il più popolare e riconosciuto dei filosofi politici prussiani, il Chamberlain: " Chi può vivere in Italia oggi e frammischiarsi agli abitanti cortesi e ricchi di doti senza sentire con dolore che colà una grande nazione si perde, si perde irrimediabilmente, perché manca del potere propulsivo interiore?" ecc., un potere che ha spinto il von Kluck ad attraversare così trionfalmente Parigi. Anche un Inglese semi-educato, che non sappia di nessun altro poeta italiano all'infuori di Dante, sa che questi è stato qualcosa più di cortese; anche un Francese assolutamente analfabeta, che non abbia sentito parlare di nessun altro guerriero italiano all'infuori di Napoleone, sa che l'artigliere di cui si discorre non mancava, se mai, di "potere propulsivo ulteriore." "Ohi può vivere in Italia oggi?" È chiaro che il filosofo prussiano non può: le sue impressioni sono tolte dal teatro d'opera italiano, non dalle strade italiane, per certo non dai campi d'Italia. In realtà quei ricordi d'Italia che si mantengono accesi nella memoria della maggior parte degli uomini nordici equanimi sono di un genere precisamente diverso. Per conto mio sarei incline a dire: " Chi può vivere in Italia oggi senza sentire, che una donna che allatta il suo bimbo, o un uomo che spacca legna potrebbero quasi incutere paura con la pienezza della loro umanità; cosi da far quasi sentir l'odore del sangue, come si sente quello di bruciaticcio." Spesso gli Italiani hanno l'apparenza d'esser pigri; vale a dire che hanno l'aria di non volersi muovere; non quella di non potersi muovere, che hanno molti Tedeschi. Ma, anche se tale formula convenisse agli Italiani, essa non sembra atta a far loro piacere. Possiamo dunque ascrivere ai Prussiani, insieme al fallimento della loro diplomazia e della loro filosofia, anche il fallimento dei loro appelli a un popolo straniero. Lo scrittore prussiano può continuare i suoi tentativi di blandirvi e calmarvi dichiarando che voi siete irrimediabilmente perduti, e che tutti i grandi Italiani non erano italiani; ma il metodo mi sembrerebbe poco adatto a una propaganda popolare e non posso a meno di dire che, sotto questo rispetto del persuadere, il tentativo tedesco è poco convincente. Ora tutto ciò è importante per cotesta ragione; se la consideri con cura, ti avvedrai perché l'Europa debba, a qualunque costo, schiacciare la Germania in battaglia e por fine al suo potere militare e materiale di agire. Dovessimo tutti pugnare per ciò, dovessimo tutti morire per ciò, bisogna si faccia; dovessimo cercare alleati tra i nani della Groenlandia o tra i giganti della Patagonia, bisogna si faccia. E la ragione è che, se ciò non si faccia nel senso letterale e materiale, altre cose verranno compiute nel senso materiale e letterale, le quali faranno inorridire i cieli. Saranno cose stupide, saranno cose balorde, meschine e ridicole, ma saranno cose compiute. Nulla potrebbe esser più ridicolo, se ciò bastasse, della posizione dei Prussiani in Polonia, dove uno scintillante ufficiale, facendo gran mostra di " governare," si sforza di strappar con inganno al povero contadino i suoi campi (e viene ingannato), e poi ricorre al percuotere i bimbi, perché recitano le preghiere nella lor lingua materna. Tutti coloro che serbano qualche memoria di dignità, d'ironia, insomma di Roma e di ragione, sanno vedere perché l'ufficiale non abbia la necessità, o il dovere di battere fanciulli, perché non gli convenga e di solito non lo faccia. Ma un ufficiale può battere dei fanciulletti, e un. ufficiale prussiano continuerà a batterli, finché tu non gli strappi di mano il bastone. Nulla potrebbe essere più ridicolo, se ciò bastasse, della posizione dei Prussiani m Alsazia, che dichiarano essere puramente germanica, e ammettono essere rapidamente francese, cosi che essi debbono terrorizzarla con lo sciabolare chicchessia, non esclusi gli storpi. E anche una volta chiunque di noi sa vedere perché un ufficiale non abbia bisogno di sciabolare uno storpio, perché non lo debba, non gli convenga e di solito non lo faccia. Ma un ufficiale può sciabolare uno storpio, e un ufficiale prussiano continuerà a farlo, finché non gli si strappi di mano la sciabola. Cotesto pazzesco e rigido realismo rende il loro caso peculiare, come quello di un Cinese che copia alcunché, o quello di un servo mezzo idiota che fa un' ambasciata. Se avessero il potere di piantar pali bianco e neri intorno alla tomba di Vergilio, o di esumar Dante per verificare se mai avesse capelli giallicci, il semplice atto, che per molti di noi sarebbe la cosa più improbabile, sarebbe per essi la meno improbabile. Non percepiscono la risata dei secoli. Se avessero il potere di trattare il Primo Ministro inglese o quello italiano letteralmente come traditori, e di fucilarli contro un muro, essi sarebbero capacissimi di tradurre una tale retorica isterica in realtà, capacissimi di spaccare quelle teste, prima d'aver riflettuto con la loro. Non percepiscono le diverse atmosfere; sono tutti un poco sordi, come sono tutti un pochino miopi. Sono seccati quando i loro nemici, dopo esperienze come quelle del Belgio, li accusano di violare le promesse; e in un certo senso hanno ragione, perché ci sono certe specie di promesse che probabilmente manterrebbero. Se abbiano promesso di rispettare un libero paese o un vecchio amico, di mantenere un patto giurato o di risparmiare una popolazione inoffensiva, troveranno tali restrizioni incresciose e irritanti; domanderanno a qualche professore, in base a quali princìpi essi le mettano da parte; ma, se abbiano promesso di abbattere con una granata la croce di su una guglia, o di vuotare un calamaio nella birra di qualcuno, o di portare a casa le orecchie di qualcuno a diletto delle loro famiglie, credo che, in simili casi, sentirebbero una qualche ombra di ciò che un uomo prova nell'adempiere una promessa da lui data. E, a ragione di tali casi, non posso andare tanto in là, quanto certi severissimi critici, i quali dicono che il Prussiano non mantiene mai le sue promesse.
Disgraziatamente appunto cotesta specie di realismo e di adempimenti fa si che sia urgente per l'Europa di sviluppare ogni sua energia, per abbattere cotesti antichi demoniaci, cotesti idioti che paiono invasati di forza diabolica. Essi continuano ad agire, come i paranoici continuano ad agire, finché sono posti nell'impossibilità. Mi sembrava che certe cose non potessero ne esser dette ne fatte;' credevo che un uomo si sarebbe vergognato di sbruffare un nuovo nemico, come l'Inghilterra, per tradire un antico nemico come la Francia; credevo che un uomo si sarebbe vergognato di punire la semplice legittima difesa di un popolo così inoffensivo come il belga. Ma tali speranze, amico mio, conviene siano abbandonate. Di una cosa sola il Prussiano si vergognerebbe, e di quella abbiamo giurato a Dio che egli abbia un saggio, prima che la guerra abbia fine. Il sempre tuo G. K. CHESTERTON.
CARO AMICO, il Tedesco prussianizzato, di qualsivoglia misture di razze esso risulti, possiede una qualità che sarà forse anche pura di razza, ma che in ogni caso è assai chiara. Il Chamberlain, il filosofo o lo storico alemanno (non so bene quale dirlo e neppure come chiamarlo), osserva a un certo punto che le razze pure posseggono la fedeltà, e cita ad "esempi i negri e i cani e, m'imagino, i Tedeschi. È in ogni caso vero che esiste una qualità vera e riconoscibile, che potrebbe chiamarsi fedeltà o forse monotonia, la quale si trova nei Tedeschi, pressapoco nella stessa forma come nei cani e nei negri. In tale rispetto il Teutone del Nord possiede la semplicità del selvaggio e degli animali inferiori: non ha reazioni. Non ride di se stesso; non prova il desiderio di sferzarsi; non si pente, come la maggior parte di noi, ne qualche volta si pente di pentirsi; non legge i propri scritti trovandoli molto peggiori o molto migliori di quanto si fosse atteso; non sente una certa vaga e irragionevole impressione di stravizio dopo i piaceri, anche divini, di cotesta vita. Osservalo in una trattoria germanica, e ti .persuaderai che tutto ciò gli è alieno; insomma, così nello stretto senso scientifico della parola, come nel suo significato più discorsivo, egli non sa che cosa sia l'avere un temperamento. Non si piega e poi scatta, come l'acciaio; rimane proteso, come il legno. In ciò si diversifica da ogni altra nazione che io abbia conosciuta, dalla tua e dalla mia, dalla francese e dalla spagnuola, dalla scozzese, dall'irlandese e dalla gallese. La mala sorte non lo stimola come stimola noi; la buona fortuna non lo spaventa, come intimorisce noi. Tè ne avvedi da ciò che i Francesi dicono sciovinismo e noi gingoismo; per noi esso è fuoco d'artificio, per lui luce diurna. La "sera di Mafeking, per celebrare un piccolo ma pittoresco successo contro i Boeri, quasi ogni persona in Londra uscì sventolando bandieruole; quasi ogni persona in Londra ora se ne vergogna cordialmente. Ma non passerebbe mai per il capo ai Prussiani di non ringalluzzirsi con la più fresca insolenza, ogni anno, per la lontana vittoria di Sedan, benché proprio nell'anniversario di quel giorno la stella del loro destino si mostrasse loro maligna in cielo, e il von Kluck battesse in ritirata da Parigi. Sopratutto il Prussiano non s'irrita, come io fò, quando gli stranieri lodano il suo paese per ogni sorta di ragioni sbagliate; il Prussiano lascia che tu lo lodi per qualunque ragione, per qualunque lasso di tempo, per qualunque eternità di follia; egli se ne sta lì per essere lodato. Probabilmente va orgoglioso di ciò; probabilmente anche ritiene di digerir bene, visto che il veleno della lode non gli fa nausea. Crede che la mancanza di tali dubbi significhi compostezza, magnificenza, calma colossale, razza superiore, in breve coonesti tutta la pretesa dei Teutoni d'essere essi il più alto prodotto spirituale della natura e dell'evoluzione. Ma, poiché ho avuta occasione di notare una calma uniforme anche più perfetta non pure nei negri e nei cani, ma nei vermi, negli scarafaggi, nelle barbabietole, nel muschio, nel fango e nei pezzi di sasso, sono scettico circa l'opportunità di cotesto criterio per la classificazione graduale di tutte le creature del Signore. Ora io ti faccio notare ciò per un' ottima e pratica ragione. Il Prussiano non comprenderà mai le rivoluzioni che sono di solito reazioni; le considera non soltanto con disapprovazione, ma con una certa misteriosa specie di compassione. In tutte le sue confuse storie popolari si riscontra una certa strana tendenza a suggerire che le popolazioni libere hanno sin qui fallito al loro scopo, e hanno fallito, perché erano sempre in lotta. La popolazione di Berlino non lotta o non può lottare, e perciò Berlino riuscirà là dove la Grecia e Roma fallirono. Fin qui appare ovvio che Berlino non è riuscita in nulla se non nel copiar male la Grecia e Roma, e i Prussiani mostrerebbero maggior saggezza, se seguissero i particolari del passato greco e romano, che possiamo seguire, piuttosto che i particolari del loro futuro, intorno ai quali non abbiamo naturalmente informazioni cosi precise. Suvvia ogni cupola che essi costruiscono, ogni pilastro che essi erigono, ogni piedestallo per un epitaffio o ogni riquadro per decorazione, ogni tipo di chiesa cattolica o protestante, ogni specie di strada piccola o grande essi copiarono dalle antiche città pagane o cattoliche, e coteste città, quando compierono quelle cose, ribollivano di moti rivoluzionari. Ricordo un professore alemanno che mi disse: " Non avrei alcuno scrupolo di spegnere repubbliche quali il Brasile, il Venezuela, la Bolivia e il Nicaragua; sono in continua rivolta per l'una o per l'altra ragione." Risposi che imaginavo egli non avrebbe avuti scrupoli di spegnere Atene, Roma, Firenze e Parigi, perché erano sempre in rivolta per l'una o per l'altra ragione. La sua risposta mostrò, mi pare, che egli pensava di Cesare e di Cola di Rienzo poco su poco giù come quel ministro presbiteriano scozzese giudicava di Cristo, quando gli ricordarono il grano raccolto di giorno festivo, provocandone la risposta: " E sia pure, ciò non mi fa giudicare più favorevolmente di Lui." In altre parole il nostro professore era convintissimo, come i suoi connazionali tutti, d'essere in grado di imporre una specie di pax germanica, atta a soddisfare qualunque esigenza d'ordine e di libertà per sempre, togliendo ogni occasione di rivoluzione o di reazione. Per conto mio sono d'opinione diversa. Quand' io ero fanciullo, e il mercato inglese cominciava ad essere inondato da balocchi tedeschi, c'era inciso nella mente delle governanti un pedantesco versetto britannico, che diceva: ciò che ai
bimbi tedeschi piace fare Della gioia dei bimbi inglesi posso rispondere, gioia giusta e santa; non sono altrettanto sicuro della gioia dei fanciulli tedeschi, quando si trovarono presi nell'infernale ingranaggio della moderna civiltà manifatturiera. Ma per il momento m'importa soltanto di dire che non ammetto questa linea di suddivisione storica; non credo che la storia confermi l'asserzione, che quelli che sanno rompere qualcosa, non sappiano farla. Cotesto è il modo meno inframettente con cui posso toccare un punto, che deve di necessità esser delicato, e che può costituire una difficoltà tra voi Latini. Contro cotesto pretenzioso Prussiano dobbiamo proteggere non solo la nostra unità, ma anche le nostre contese. E la più profonda delle rivolte e delle reazioni di cui ho fatto cenno, è la contesa che, a mio parere assai tragicamente, ha da circa cento anni scisso il mondo cristiano dagli ideali liberali. Sarebbe poco conveniente che io, nato in un paese dove né la dottrina è cosi ben definita come altrove, né la democrazia è altrettanto pugnace, suggerissi esser facile per voi di sanare coteste sacre ferite. Ci possono ancora essere cattolici che sentono di non poter perdonare a un giacobino; ci possono ancora essere antichi repubblicani che sentono di non poter mai tollerare un prete; eppure c'è cosa che dovrebbe^ stringerli entrambi in una subitanea alleanza. Basta che guardino verso il Nord e resistano a Una terza cosa, che si crede all'uno e all'altro superiore, la grossa faccia di rapa di ce type la , come dicono i Francesi, che si è convinto di poterli rendere entrambi a lui simili, pur rimanendo ad entrambi superiore. Ti supplico di non lasciar passare nelle mani di cotesto sciocco la contesa tra i grandi santi e i grandi bestemmiatori. Egli farà della religione quel che farà dell'arte; mescolerà tutti i colori della tua paletta in un colore di fango, a poi affermerà che soltanto gli occhi purificati del Teutone sanno scorgere come quella mistura sia candidissima. L'altro giorno si annunziava che il direttore dei musei di Berlino stava ponzando una nuova specie d'arte: arte alemanna. Allo stesso tempo erano stati convenuti filosofi e scienziati a una riunione per fondare una nuova religione: religione alemanna. Come può tal gente apprezzare l'arte? come può apprezzare la religione? e anche come può apprezzare l'irreligione? come si può inventare un messaggio? come si può creare un creatore? non è il significato chiarissimo del Vangelo l'essere la buona novella? e non è condizione chiarissima delle buone novelle, che esse debbono giungerci dal di fuori? Altrimenti mi potrei render felice in questo stesso minuto, inventandomi una enorme vittoria nelle Fiandre; e, ora che ci penso, imagino che i Tedeschi cosi facciano. Per la pienezza della vostra fede e anche per la pienezza della vostra disperazione, voi che ricordate Roma, vi siete acquistato il diritto d'impedire che tutte le contese siano soffocate in tale fredda acqua del Nord. Ma non è dir troppo l'affermare che ne la religione ne' suoi momenti peggiori, ne il repubblicanesimo ne' suoi momenti più biechi hanno mai gettato in faccia a tutta la razza umana più grossolano insulto di quello, che si lancia da cotesta nuova e sfacciatamente universale monarchia. C'è sempre stato qualcosa di comune tra gli uomini civili, dicessero ciò l'essere un mero cittadino o un mero peccatore. C'è sempre stata cosa che i vostri antenati chiamarono verecundia, che è al tempo stesso umiltà e dignità. Quali che siano i nostri difetti non agiamo nello stesso modo preciso in cui agiscono i Prussiani. Non mugghiarne giorno e notte, per richiamare l'attenzione sul nostro grave silenzio; non lodiamo noi stessi, soltanto perché nessun altro ci vuoi lodare. Per conto mio, alla fine di cotesta ultima lettera ripeto quanto dicevo nella prima, che in tali questioni internazionali mi sono spesso trovato in disaccordo con i miei concittadini; mi sono spesso trovato in disaccordo anche con me stesso. Non pretenderò alla compiutezza di quella stupida creatura di cui parliamo; non risponderò alle sue spacconate con ispacconate, ma con legnate. La mia porta di casa è infranta e abbattuta d'un tratto; non vedo nulla al di fuori, se non una specie di viaggiatore di commercio sorridente, con capelli giallastri, con un taccuino aperto, il quale dice: " Mi scusi, io sono un essere senza difetti; ho persuasa la Polonia; posso contare sai miei rispettosi alleati d'Alsazia, sono assolutamente idolatrato in Lorena quae regio in terris . . . quale è il cantuccio del mondo in cui il nome delta Prussia non sia il segnale di preghiere fidenti e di danze gioiose? Io sono il Teutone che ha incivilito il Belgio, e che ha così teneramente potate le frontiere danesi. E Le posso dire, con piena convinzione, che non ho mai fallito, e che non fallirò mai in nessuna cosa. Mi permetta quindi di consacrare la Sua casa con l'orma de' miei bellissimi stivali, così ch'io possa derubare la casa del Suo vicino." E allora un sentimento europeo, più orgoglioso dell'orgoglio, sorgerà in me, e risponderò: " Io sono quell'Inglese che ha torturata l'Irlanda, che è stato martoriato nel Sud Africa; che conosce ogni suo errore, che è gravato da tutti i suoi peccati; e costui ti dichiara, o Essere incontaminato, con una verità profonda quanto la sua stessa reità, con una verità immortale come la sua stessa memoria, che tu non passerai di qui. Il sempre tuo G. K. CHESTERTON. |